L’amaca

Difficile vedere uno spaccato della politica italiana più eloquente di quello andato in onda nell’ultimo "Ballarò". Da un lato un vecchio servitore dello Stato, nonché giurista di alto profilo, Stefano Rodotà, che cercava di illustrare nel dettaglio la questione del legittimo impedimento, all’esame della Consulta. Dall’altro due giovani leader del centrodestra, Gelmini e Cota, insofferenti nei confronti di un puntiglio intellettuale non alla loro portata e soprattutto inconciliabile con la loro esigenza di semplificare, e ridurre ogni questione alla proficua banalità "con Berlusconi-contro Berlusconi", ovvero, si capisce, "con la gente-contro la gente".
In particolare Gelmini (che è ministro dell’istruzione, vedete un po’...) pareva strutturalmente incapace di affrontare un’analisi anche sommaria dei fatti, e cioè del motivo stesso del contendere; e continuava ad accusare di "antiberlusconismo" un Rodotà sempre più spossato, e incredulo di vedersi sgretolare davanti agli occhi non già le sue opinioni, quanto il campo stesso del dibattito. Rodotà incarna, agli occhi della nuova leva del potere italiano, piccolo-borghese e di destra, quanto di più detestabile: perché è un signore, perché è un intellettuale, perché è di sinistra. Nel vederlo soccombere (sia pure con infinita dignità), e soccombendo insieme a lui, ci siamo resi conto di quanto la sconfitta della cultura sia anche la sconfitta della realtà. E viceversa.
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