L’amaca

Dalla Rassegna stampa

L’uomo che scese in campo per porre fine al "teatrino della politica" ne è diventato l’artefice massimo. Trattative sottobanco, maneggi di corridoio, cene notturne, abboccamenti anche molto loschi per rimanere in sella appena qualche giorno o qualche settimana in più, come l’ultimo dei democristiani. In una Roma nervosa e più sfasciata del solito, sorvolata dagli elicotteri, scossa dalle urla fuori e dentro i palazzi del potere, dai botti dei fumogeni, dall’ultimo scandalo dell’assistenzialismo, dal ringhio esasperato dei precari, dalle auto incendiate, l’uomo più ricco e votato d’Italia si è avvinghiato a tre o quattro oscuri parlamentari, spaventati dalla notorietà improvvisa, per concedersi ancora qualche scampolo di governo.
 
Tutto molto risicato e molto squallido, in fin dei conti in linea con la mancanza di grandezza, di limpidezza, di serenità di un Paese che fatica a respirare, a pensare se stesso in termini appena più nitidi e confortanti. Lo sfondo azzurro, il cielo senza una nube, i sorrisi e il cerone della propaganda berlusconiana sembrano cartapesta a brandelli. Sono giorni bui, e nel buio, insieme a tutti gli altri, uguale a tutti gli altri, si aggira l’ex artefice del Secondo Rinascimento, confuso nella folla opaca dei praticoni della politica.

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