L’altra metà delle badanti: invisibili e indispensabili

Quando nel 2005 l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nominò Cavaliere del lavoro la quarantasettenne rumena Marioara Halip di professione badante il dibattito sull’invecchiamento della popolazione italiana e sul contributo lavorativo nonché demografico degli immigrati era appena agli inizi. Cinque anni odierni corrispondono a cinquanta del secolo scorso e nel frattempo oltre agli anziani soli sono raddoppiate le donne straniere che se ne occupano. Peccato che circa 700 mila di loro siano impiegate in nero, indispensabili eppure trasparenti.
Necessità non fa sempre virtù, denuncia il Terzo Rapporto European Migration Network Italia. Secondo il centro studi di Bruxelles oltre la metà del milione e 400 mila collaboratrici domestiche al servizio degli italiani non ha un contratto regolare. Vale a dire che anziché pagare i cinquecento euro che sono previsti dalla legge per richiedere il permesso di soggiorno e l’emersione molte famiglie hanno preferito navigare sott’acqua. «Lavoro anche ventiquattro ore al giorno con una signora novantenne per 700 euro al mese e un pomeriggio libero alla settimana che non mi godo perché ho il terrore di essere arrestata» racconta la bulgara Magdalena a condizione di restare anonima.
È arrivata nel nostro paese nel 2008 ma ancora non esiste per l’Inps, dai cui registri risulta che solo 4 immigrate su dieci sono colf o badanti mentre la Caritas e le associazioni di volontariato parlano di una cifra pari almeno al doppio. Eppure l’interesse sarebbe reciproco, considerando che i sette miliardi di contributi versati ogni anno dagli stranieri hanno garantito il risanamento dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
«Urge una moratoria della sanatoria truffa del 2009 riservata a colf e badanti di cui il governo continua a non fornire i dati» afferma la vicepresidente del Senato Emma Bonino. Domani, promette, darà in battaglia in Parlamento dove i radicali hanno presentato un’interrogazione: «Chiediamo la revisione dell’esame delle domande e la sospensione degli effetti delle eventuali risposte negative». Allora le richieste furono 300 mila e al vaglio ne passarono 1’80 per cento. Da quando la questione è finita sotto i riflettori per la protesta degli immigrati sulla gru di Brescia e di quelli accampati sotto la ciminiera dell’Ex Carlo Erba di Milano il dibattito si è fatto serrato, per quanto sia possibile discutere di strategie nella costante emergenza tattica del governo italiano.
Il lavoro sommerso è una palude che rischia d’estendersi con la crescita esponenziale della popolazione straniera passata dal mezzo milione del 1990 ai 5 milioni attuali. La società cambia a 360 gradi.
Una rivoluzione che coinvolge perfino la chiesa, ammette il direttore generale della Fondazione Migrantes Giancarlo Perego: «Oggi abbiamo in Italia 700 mila cattolici in più provenienti da 100 paesi diversi». Le badanti e le colf, poco meno d’un terzo del totale degli immigrati, sono la cartina di tornasole dell’impatto ambientale perché intervengono sulla sfera occupazionale ma anche su quella familiare, provvedendo al welfare fai-da-te da un lato e dall’altro trainando l’impennata dei matrimoni misti, ormai dieci ogni cento celebrati.
Siamo tornati indietro dai giorni di Marioara Halip al Quirinale? Il rovescio di quella medaglia sono le settecentomila senza nome impiegate clandestinamente. Il rapporto che è stato raccolto e diffuso dall’European Migration Network mette in guardia dal rischio che quanto dovrebbe essere eccezione si trasformi in regola, come dimostrano le recenti inchieste della Digos di Varese e Ravenna sul business delle false regolarizzazioni di collaboratori domestici che venivano indotti a pagare per ottenere un sedicente permesso di soggiorno.
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