Karadzic imputato assente a rischio il processo all'Aja

Dalla Rassegna stampa

Quando la Corte è entrata in aula, il posto centrale nella seconda fila di banchi alla destra dei giudici era vuoto. E Radovan Karadzic, l’ex leader dei serbi di Bosnia sotto processo per crimini contro l’umanità, era assente. Il giudice O-Gon Kwon ne ha preso atto e ha lanciato un ultimatum: se l’imputato non si presenterà oggi davanti al Tribunale Penale Internazionale, si procederà comunque a leggere i capi d’accusa e alla nomina d’un avvocato d’ufficio. Il cosiddetto «boia di Srebrenica» vuole difendersi da solo, chiede tempo per studiare gli atti, anche se è chiaro che la sua è una tattica dilatoria. I magistrati dell’Aja lo sanno e hanno fretta. Restano due anni per emettere un verdetto e non si possono permettere un altro fallimento.
E’ il topo che gioca con il gatto. Karadzic ha già fatto sapere che non intende lasciare la sua cella del carcere di Scheveningen, continua a scrivere mozioni dopo averne firmate oltre 200 da quando, nel luglio 2008, è stato arrestato a Belgrado dopo tredici anni di latitanza. Ha invocato dieci mesi per studiare gli atti, fedele al proclama della prima ora, quando aveva detto «mi difendo come mi difenderei da una calamità naturale che mi viene addosso». Lo psichiatra che a metà Anni Novanta avrebbe condotto la pulizia etnica dei musulmani in Bosnia Erzegovina e guidato il sanguinoso assedio di Sarajevo, deve fare i conti con capi di imputazione che fanno venire la pelle d’oca.
«Non boicotta il processo, non lo evita, non ha rinunciato al suo diritto di presenziare; chiede solo più tempo per prepararsi», fa sapere Marco Sladojevic, uno degli assistenti giuridici dell’accusato. I giudici presieduti dal sudcoreano O-Gon Kwon sono invece consapevoli di dove il leader serbo di Bosnia vuole arrivare. Il mandato del Tpi scade formalmente nel 2012, senza che si siano ottenuto risultati fattuali. Slobodan Milosevic, ex alleato di Karadzic, è morto nel marzo 2006 in carcere all’Aja prima che fosse emesso un verdetto. Il processo all’uomo di Srebrenica è considerato l’ultima occasione che il Tribunale ha per difendere il ruolo suo e di tutte le istituzioni analoghe. Più tempo passa e più l’imputato può farla franca.
Fuori del palazzo del Tpi, sotto un cielo plumbeo, hanno manifestato lungamente le donne di Srebrenica. «Questo processo suscita rabbia in tutti noi - ha spiegato Suada Mugic, giunta in Olanda dopo un viaggio in autobus di 30 ore -. Mio marito è scomparso, come mio padre e altri 23 membri della mia famiglia». Il procuratore Hildegard Uertz-Retzlaff, ovvero l’accusa, cerca di rassicurala dicendo che «non esiste ragione per ritardare il processo» e che Karadzic «potrà usare la pausa natalizia per studiare le carte». Il timore è però che il Tribunale abbia le polveri bagnate. Oggi alle 14,15, la prima verifica. Poi, la prossima settimana, si cercherà di entrare nel vivo. Con o senza Karadzic.

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