"Karadzic, la guida della pulizia etnica"

«Questo caso è tutto sul supremo comandante: un uomo che ha sfruttato le forze del nazionalismo, dell’odio, della paura, per realizzare la sua visione di una Bosnia etnicamente separata». L’uomo è Radovan Karadzic, ex presidente serbo che per il secondo giorno di fila non compare al processo all’Aja, dov’è incriminato per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma la tesi dell’accusa può finalmente venire esposta. Radovan Karadzic — sostiene il procuratore Alan Tieger — era il leader del Partito democratico serbo (Sds), quando nel ’91 la Bosnia (abitata da tre grandi gruppi etnici, serbi, croati, musulmani) dichiara l’indipendenza dalla Jugoslavia: ebbene, dai primi giorni Karadzic pone un obiettivo chiaro: «Noi (serbi, ndr) prendiamo un’altra strada: una Bosnia serba, il nostro sovrano diritto, il nostro esercito», da realizzare — spiegherà il procuratore — con la pulizia etnica.
La via della guerra è segnata da subito, Karadzic vuole andare fino in fondo. «I musulmani saranno cancellati... Sarajevo diventerà la cloaca di 300 mila musulmani». In aula — dove vengono presentate intercettazioni e trascrizioni di varie riunioni — va in scena una lezione di storia: come Karadzic trasforma il partito Sds in un Parlamento, come instaura il potere legittimo su metà della Bosnia, come crea prima una polizia serba e poi l’esercito, armandolo grazie agli aiuti di Belgrado. Soprattutto, il procuratore illustra la strategia della pulizia etnica, la «liberazione dai musulmani» (noi «tutti conosciamo il pericolo di questo tossico, distruttivo polipo islamico»), che è il mezzo ultimo per arrivare al controllo pieno del territorio, e poi — nei piani di Karadzic, parzialmente e tragicamente realizzati — alla spartizione della Bosnia. L’uomo che dovrà realizzare tutto questo sarà il generale Ratko Mladic. L’uomo dei crimini peggiori, del genocidio degli 8 mila musulmani di Srebrenica. Il grande assente di questo processo, il fuggitivo probabilmente nascosto a Belgrado.
A Belgrado, intanto, ieri è arrivata Biljana Plavsic, la biologa succeduta a Karadzic alla guida della Repubblica serba di Bosnia (1996-98). Ha finito di scontare la sua pena in un carcere di Stoccolma, 11 anni ridotti a due terzi per buona condotta: l’unica donna tra i 161 imputati per i crimini balcanici, la prima «condannata» a tornare in libertà.
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