Israele ricuce lo strappo. Ma gli Usa insistono: "Subito il negoziato"

Dalla Rassegna stampa

Se vuoi la pace, fingi che non ci sia la guerra. Joe Biden atto III: dopo i ministri israeliani, è il premier Bibi Netanyahu a riconoscere che di gaffe s'è trattato e a presentare le scuse ufficiali per «il momento sbagliato» di quell'annuncio sulle nuove costruzioni. Il vicepresidente Usa è dietro le tende dell'università di Tel Aviv, quando gli leggono il perdono implorato. Ritarda un po', ed eccolo uscire. In platea, non c'è un solo ministro del governo israeliano, ma non conta: Biden chiude qui l'incidente - «a volte è proprio un vecchio amico d'Israele, come me, a dover far sentire forte la sua voce» - e chiede d'andare avanti coi negoziati indiretti fra israeliani e palestinesi. Non preme pubblicamente perché sia cancellato il piano dei 1.6oo alloggi a Gerusalemme Est, la pietra dello scandalo, l'importante è che Netanyahu rassicuri (come ha fatto) che ci vorranno anni perché il progetto parta. Sorvola sull'ong (peraltro smentita dal sindaco) secondo la quale, a Gerusalemme Est, gli edifici progettati sarebbero in realtà 5omila: «I negoziatori avranno tempo per risolvere questa e altre questioni. Non possiamo rinviare, gli estremisti sfruttano le nostre differenze d'opinione».
Il caso è chiuso, la crisi no. Perché comunque ci vorrà tempo, prima di vedere qui Obama. E perché nelle ultime 48 ore s'è rischiata davvero la rottura, rivela la stampa, con un Biden che a porte chiuse avrebbe riferito le dure parole del suo capo: «Così s'incendia il Medio Oriente. Quello che state facendo, mina la sicurezza dei nostri soldati in Iraq, in Afghanistan e in Pakistan. Mette in pericolo noi e la pace nella regione». Sarebbero state queste frasi a spingere Bibi a ricucire subito, sgridando il ministro dell'Interno autore della gaffe. Due problemi restano
appesi, ora: i palestinesi, ai quali le scuse non bastano e che non vogliono più sedersi a un tavolo pre-negoziale che, loro per primi, consideravano inutile; gli alleati di governo laburisti, che minacciano di lasciare il governo Netanyahu. Questi, forse non sono una gran perdita: 13 deputati su 120, rimpiazzabili con qualche scissionista del Kadima. Quelli, sarà più dura convincerli a ripensarci.
 

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