"Irresponsabile chi pensa a elezioni". Fini assicura: non farò un mio partito

Nessun pentimento, ma una tregua offerta a Berlusconi e a Bossi. Gianfranco Fini dice di sentirsi «sereno» e di avere fatto quello che doveva fare - «anche come punto di riferimento della destra diversa, moderna»parlando chiaro al premier nella direzione del Pdl di giovedì e contestandolo con quel dito alzato che ha sancito la frattura tra i due davanti alla platea dei cinquecento maggiorenti del Pdl. E sereno il presidente della Camera appare in tv, a "In 1/2 ora", intervistato da Lucia Annunziata. Rassicurazioni di Fini, quindi: «Non fondo un partito, non faccio imboscate». Però non c’è retromarcia, bensì un invito al centrodestra a evitare atti irresponsabili come sarebbero le elezioni anticipate. Una scelta che tutto il paese pagherebbe a prezzo altissimo, diventando a rischio-Grecia: «È da irresponsabili il solo parlare di elezioni anticipate. Gli italiani non capirebbero e sarebbe il fallimento di Berlusconi che ha una maggioranza come non si vedeva da tempo: ha il diritto di governare». E insomma, lo faccia.
Da parte di Fini e dei suoi («Il documento in direzione - denuncia - era fatto apposta per contare gli eretici»), ci sarà «lealtà agli elettori e a questo governo, ma non acquiescenza, e le eventuali decisioni saranno rispettate solo se discusse e motivate». Fini ha deciso una strategia politicomediatica alla Nancy Pelosi, la speaker della Camera Usa che porta avanti sia il ruolo istituzionale sia l’attività politica. Non lo fermano né le punzecchiature dei berlusconiani (Schifani, presidente del Senato, marca la differenza: «Ho solo impegni istituzionali»), né l’attacco della Lega che gli chiede di lasciare la presidenza della Camera. A Bossi propone di vedersi: «Sono pronto a incontrarlo, se vorrà». Ma sul federalismo non è disposto a sconti e i lumbàrd devono sapere che non si fa «a ogni costo». «Lo condivido, ma se non si conoscono i costi, la road map, i tempi di attuazione, quando verrà meno il fondo perequativo nord-sud, rischia di restare un titolo».
Oltretutto ha un valore, serve a patto che «non sia lesivo della coesione nazionale perché non solo il Pdl direbbe di no ma ci sarebbe la sollevazione di tutti gli italiani». Aggiunge Fini, con il tono tra l’augurio e l’avvertimento, che Berlusconi di certo non permetterà lacerazioni del tessuto nazionale.
C’è poi il tema della riforma della giustizia, primo banco di prova per vedere quanto la scelta di dissenso, ma senza lasciare il Pdl, possa essere praticata da Fini. «Siamo favorevoli a una separazione delle carriere ma nessuno ci chieda un pm dipendente dall’esecutivo». E nessuno parli più di una magistratura «cancro o nemico delle istituzioni», benché errori da parte dei giudici ce ne siano stati e ce ne siano con alcuni esponenti «iperpoliticizzati». Una cosa è il garantismo, altra delegittimare la magistratura e picconare qualsiasi senso di legalità. Per il futuro del Pdl il terreno sembrerebbe minato. Il presidente della Camera ovviamente smorza i toni. Nonostante lo stato maggiore del partito chieda, con insistenza degna di miglior causa, la testa del vice capogruppo e finiano Italo Bocchino (il quale ha detto di avere pronta la lettera di dimissioni), la versione di Fini è: «Se ci saranno epurazioni dipenderà da Berlusconi, abbiamo messo in conto anche questo ma non credo che la maggioranza ampia del Pdl reputi intelligente
fare la lista degli epurandi, perché c’è poco di liberale». Nessuno mette in discussione «la leadership di Berlusconi» ma neppure «il diritto al dissenso».
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