Irpef e Iva, Pd contro Grilli: tasse più alte per i deboli

Si pagheranno più o meno tasse? Gli italiani iniziano a fare i conti con le nuove norme della legge di Stabilità (finalmente a disposizione dei parlamentari), ma le cifre restano ancora oscure. Il ministro Vittorio Grilli ripete che la composizione fiscale della manovra è quella «ideale» per rilanciare la domanda, con un occhio all'Irpef e un altro all'Iva. Ma dal Pd giungono forti contestazioni. «Sul fisco si toglie più di quanto si dà», attacca Stefano Fassina contestando le cifre del Tesoro.
Intanto c'è tutto il capitolo welfare, sanità e tagli a Comuni e Province a tenere banco nel dibattito politico. I 100 milioni stanziati dal disegno di legge per gli esodati «non sono sufficienti», osserva Cesare Damiano. La Caritas ricorda che i più poveri restano senza tutele. E saranno proprio loro a pagare più tasse, visto che non godranno del taglio dell'Irpef ma dovranno affrontare l'aumento Iva. Ma a lamentarsi sono anche le imprese, che aspettano ancora gli stanziamenti per i crediti con la pubblica amministrazione, e le banche che dovranno pagare sugli utili non realizzati.
I conti, come si è detto, non coincidono. Grilli parla di un taglio di aliquote che vale circa 6 miliardi, a fronte di un taglio di sconti fiscali (retroattivo) di appena 1,1 miliardo, a tutto vantaggio del contribuente quindi. Sul punto Iva che aumenterà a luglio risponde «mai dire mai». Come dire: si potrebbe anche trovare un modo per eliminarlo. Ma il fatto è che non ha neanche trovato il miliardo per evitare la retroattività sulle detrazioni.
Balletto di numeri
Fassina contesta in toto le cifre, anche se apprezza la disponibilità del ministro a modificare alcune parti della manovra. «Un punto di Iva sull'intero anno vale 6 miliardi, a cui va aggiunto il miliardo di minori detrazioni. Inoltre i dati indicano che l'impatto sulla domanda interna dell'intervento è regressivo sul piano sociale e economico. Dalle nostre valutazioni, il tetto alle detrazioni costa ai contribuenti 5 volte in più di quanto stimato nella Relazione Tecnica dove il limite dei 3.000 euro è stato applicato alla detrazione e non, come indica la norma del ddl, alla base imponibile». Insomma, ci sarebbe un «sotterfugio» che modifica il risultato finale. «Il ministro chiarisca il punto», insiste il responsabile economico del Pd. Ma c'è un altro dato che preoccupa Fassina: il carattere regressivo degli interventi, che pesano di più su chi ha meno. «La franchigia di 250 euro sulle detrazioni colpisce i contribuenti con minori oneri detraibili, ossia quelli a reddito più basso. In sintesi, pensionati con meno di 1.000 euro al mese di pensione, disoccupati, esodati e tutte le famiglie con redditi inferiori ai 30.000 euro all'anno pagheranno circa 200 euro all'anno di maggiore Iva. Per 9 milioni di persone non vi sarà alcuna riduzione dell'Irpef in quanto sono incapienti, ossia hanno un reddito al di sotto della soglia Irpef. Per altri 20 milioni, la minore Irpef non compensa la maggiore Iva. E quale senso di responsabilità dimostra un governo che ammette l'errore della retroattività della riduzione delle detrazioni e scarica sul Parlamento l'onere di recuperare un paio di miliardi di euro per correggere? Infine, il brutale innalzamento dell'Iva sui servizi prestati dalle cooperative sociali».
Intanto in commissione saranno stralciate una trentina di norme per inammissibilità. Tra queste il riordino degli enti di ricerca, l'istituzione dell'Agenzia per la coesione e del Nucleo tecnico degli investimenti pubblici, alcune disposizioni sulla scuola pubblica e su quelle paritarie, ma anche i 10 milioni a Radio Radicale, la commissione unica per i procedimenti ambientali.
© 2012 L'Unità. Tutti i diritti riservati
SU