Iran, Biden assicura Israele. Peres: "Via Teheran dall'Onu"

Dalla Rassegna stampa

Quando si parla della sicurezza dello Stato ebraico, «non c'è distanza alcuna tra Stati Uniti e Israele», dice il vicepresidente americano Joe Biden volato in Israele con il triplice obbiettivo di rassicurare, smussare, chiarire. Rassicurare l'alleato israeliano che, in caso di bisogno, gli Stati Uniti saranno sempre al suo fianco. Smussare le divergenze e le incomprensioni esplose tra il presidente Obama e il premier Netanyahu sul processo di pace tra israeliani e palestinesi. Chiarire che gli Stati Uniti non desiderano che Israele s'imbarchi in un rischiosissimo attacco militare contro l'Iran nel momento in cui la diplomazia americana sta cercando di creare una vasta coalizione internazionale a favore di nuove sanzioni contro Teheran.
Per una coincidenza forse voluta, forse no, mentre Biden sbarcava all'aeroporto Ben Gurion, il senatore George Mitchell, l'inviato dell'Amministrazione americana incaricato della pace in medio Oriente, facevale valige, dopo aver annunciato senza fanfare che israeliani e palestinesi sono pronti a riprendere il negoziato nella forma bizzarra e vacua dei "colloqui indiretti". In realtà, dove, come e quando inizieranno i "colloqui indiretti" non è stato ancora deciso. Né quale sarà la cornice del nuovo negoziato, se così si può chiamare. Mitchell tornerà la prossima settimana. Lasciando campo libero al governo Netanyahu di proseguire nella sua tattica ambigua e dilatoria, manifestando, da un lato, la disponibilità a negoziare e dall'altro annunciando, ieri la costruzione 120 nuove unità abitative nell'insediamento di Betar Illit e oggi di 1.600 nuove case nell'insediamento di Ramat Shlomo, un quartiere edificato su territorio palestineseunilateralmente annesso a Gerusalemme. Annuncio, quest'ultimo, che ha suscitato le prevedibili proteste da parte palestinese, ma soprattutto irritato il vicepresidente americano, secondo cui la decisione di costruire nuove case a Gerusalemme est «mina la fiducia necessaria per riprendere i colloqui».
I riflettori erano comunque puntati sulla questione iraniana, che da tempo ormai rappresenta per Israele la questione di gran lunga prioritaria, la "minaccia" per antonomasia. Una spina nel fianco resa più dolente non soltanto dal progredire del programma nucleare iraniano, ma anche dall'odio che trasuda dalle parole di Ahmadinedjad verso «l'entità sionista».
Così, inevitabilmente, il tema ha dominato prima l'incontro tra Biden e il presidente Peres, poi il faccia a faccia con Netanyahu. Come era largamente prevedibile, Biden ha ribadito l'impegno a impedire che il regime degli Ayatollah arrivi a dotarsi delle armi atomiche, mentre i governanti israeliani, parallelamente, hanno confermato la loro fiducia nella strategia scelta dagli americani. Tuttavia, impossibile non notare la differenza di toni tra i due alleati. Per Peres alle sanzioni economiche dovrebbero essere associate anche sanzioni morali. In parole povere, l'Iran dovrebbe essere cacciato dall'Assemblea dell'Onu, mentre per Netanyahu le nuove sanzioni avranno un senso soltanto se costringeranno il regime di Teheran a scegliere tra proseguire nel suo programma atomico o rischiare la propria sopravvivenza.
 

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