Iran, assalto all'ambasciata inglese

Dalla Rassegna stampa

Le immagini, trasmesse in diretta dalla tv iraniana, dell'assalto all'ambasciata britannica di Teheran sembravano le stesse del fatale quattro novembre del 1979 quando gli studenti si impadronirono di quella americana di via Taleghani prendendo 66 ostaggi rilasciati soltanto nel gennaio 1981. Questa voltagli ostaggi sequestrati, sei dipendenti della sede nel parco di Qolak, sono stati liberati dalla polizia, intervenuta in ritardo e sulle prime assai poco convinta del suo compito di difendere una legazione straniera, lasciando dilagare i manifestanti che hanno distrutto immagini, arredi e messo le mani su documenti riservati. I diplomatici britannici, secondo una versione della rappresentanza inglese all'Onu che contrasta con le notizie delle agenzie iraniane, in realtà non sarebbero mai stati sequestrati ma sono stati rintracciati in seguito da Londra. L'attacco è stato condotto dai bassiji, gli studenti affiliati ai pasdaran, le guardie della rivoluzione, e dagli Ansar Hezbollah, i radicali islamici, in due luoghi diversi: l'ambasciata britannica nel centro di Teheran e un compound a Nord della capitale che fino a qualche tempo fa era anche la residenza dell'ambasciatore, del quale domenica era stata decisa l'espulsione con un provvedimento ratificato dal Majlis, il Parlamento.

La confusa e caotica battaglia all'ambasciata, condannata con forza dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, oltre che dagli Stati Uni- ti, dall'Unione europea e dalla Russia, è un incidente voluto probabilmente nel quadro oscuro delle lotte politiche interne alla repubblica islamica che provoca un grave imbarazzo al governo del presidente Mahmoud Ahamdinejad: il ministero degli Esteri iraniano ha presentato le scuse al ministro britannico William Hague ed è stato costretto a pubblicare un comunicato in cui esprime «rammarico» per gli «inaccettabili» attacchi degli studenti, condotto da «un piccolo numero di manifestanti da biasimare». E aggiunge che «è stato chiesto alle autorità competenti di adottare immediatamente le misure necessarie». Il premier inglese David Cameron, da parte sua, ha parlato di attacco «oltraggioso e indifendibile» e ha annunciato «serie conseguenze».

Tra attacchi con lanci di pietra e bastoni roteati in aria sí sono visti un giovane che stringeva un ritratto della regina Elisabetta strappato dal muro, un altro che portava come un trofeo quello dell'ambasciatore, un terzo che sventolava documenti: da quando la Gran Bretagna ha imposto, come altri Paesi occidentali, nuove sanzioni all'Iran, la tensione è salita al massimo livello. Ma si tratta di un'escalation che parte da lontano: nel 2009, quando gli inglesi espressero il loro sostegno alla protesta dell'Onda verde dopo la manipolazione dei risultati delle presidenziali, il Governo di Teheran era partito all'attacco di Londra con toni ancora più aspri di quelli usati solitamente contro gli Stati Uniti. È una vecchia ruggine: l'impero britannico è ritenuto storicamente uno dei principali protagonisti dei complotti veri e presunti ai danni dell'Iran, l'ispiratore, insieme agli americani, del colpo distato che negli anni so abbatté Mossadeq.

L'ambasciata è «un nido di spie», gridavano i manifestanti, lo stesso slogan che i loro padri avevano usato 32 anni fa nell'assalto a quella americana.

Il paradosso è che i leader di allora sono tutti passati all'opposizione. Ibrahim Asgarzadeh, che ebbe un ruolo chiave nel 1979, qualche tempo fa diceva: «Ancora oggi mio figlio Mohammad mi rimprovera per quella iniziativa che aprì la strada ai radicali e contribuì a prolungare la guerra contro l'Iraq per otto anni». Come quasi sempre accade in Iran l'attacco ai "farangi", agli stranieri, apre le porte ai sussulti politici e in certi casi precede persino qualche violenta tempesta.

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