"Io in politica? In un'altra vita". Il tormentone però non è finito

Dalla Rassegna stampa

Si cominciò a parlare di un ingresso di Luca di Montezemolo in politica almeno dai tempi della sua campagna elettorale per la presidenza di Confindustria. Nel 2005 fu disegnato attorno a lui lo scenario del «partito azzurro», con Fini, Casini e i moderati delusi dallo scarso riformismo di Forza Italia. Nel 2009 il suo nome è stato evocato per guidare il «Kadima» italiano, terza forza con l’apporto anche di Rutelli. Montezemolo ha continuato a fornire argomenti ai critici del bipolarismo «bloccato» che inibisce il ricambio politico, che premia le corporazioni a danno del merito, che insegue un federalismo ideologico a scapito dell’unità del Paese, che soprattutto non fa le riforme. Ma nessuna discesa in campo. Anzi, Montezemolo è stato scrupolosamente attento a non varcare mai la soglia di rispetto. Forse volava sottrarsi alla metafora del Centro. Forse ha giudicato irrealistica la sfida a Berlusconi con questa legge elettorale. Forse non ha la vocazione, o la stoffa, del leader politico che ad un certo punto deve rischiare l’intera posta.
L’altra sera, in un incontro pubblico a Firenze, è tornato sul tormentone: «Io in politica? Se rinascerò, in un’altra vita. Ognuno deve fare il suo mestiere». Suona come una risposta definitiva. Ma poco dopo ha aggiunto: «E’ uno strano Paese il nostro. Se non fai niente, come minimo, sei egoista. Ma se fai qualcosa, subito si dice che vuoi entrare in politica». E il qualcosa di Montezemolo è la fondazione Italia Futura, nata per lanciare idee e progetti su scuola, sanità, ricerca, lavoro, impresa, per proporre una classe dirigente giovane, per denunciare «le patologie di una transizione politica infinita». Peraltro lo stesso direttore di Italia Futura, Andrea Romano, alle recenti regionali ha difeso la legittimità dell’astensione come rifiuto consapevole delle attuali offerte partitiche. Segnali che certo non alludono ad un taglio netto con la politica. Anche se il presidente della Ferrari si tiene sempre un passo indietro, anche dai suoi.
Per Bruno Tabacci, che pure ha spinto in passato per un impegno diretto di Montezemolo, «il tempo della scelta è probabilmente scaduto». Eppure, osserva, lo spazio ci sarebbe. Alle regionali Pdl e Pd insieme hanno preso «meno di un terzo di voti degli aventi diritto». E in Inghilterra «è stupefacente come il leader della terza forza sia in testa ai sondaggi». Insomma in Italia come nel resto d’Europa gli elettori disorientati cercano novità. Chi conosce Silvio Berlusconi confida che segue con attenzione e qualche timore i movimenti di Montezemolo. Ieri comunque Berlusconi ha parlato al telefono con il presidente della Ferrari (e poco dopo lo stesso Montezemolo ha chiamato Pier Luigi Bersani).
Intanto un altro imprenditore, l’ex leader di Federmeccanica Massimo Calearo, ha invocato apertamente Montezemolo come leader del terzo polo: «Dopo la Fiat ora bisogna risanare l’Italia». Ma l’impressione è che anche chi oggi presidia il Centro guardi all’incognita di Montezemolo con maggiore scetticismo del passato. Non solo perché i dirigenti dell’Ude ogni giorno si misurano con la fatica di preservare la propria autonomia in uno schema bipolare ingessato da un premio di maggioranza che non ha uguali nell’Occidente. Ma anche perché le stesse difficoltà di Fini nel Pdl non depongono a favore del modello Kadíma: in fondo, in Israele, Kadima nacque da un’esperienza di governo, non da un rassemblement di forze di opposizione e di personalità critiche. Insomma, la battaglia politica obbliga a sporcarsi le mani. Come i meccanici delle auto. Il presidente della Ferrari può arrivare se vuole, ma per ora è fuori dall’officina e lontano dai box.

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