Intervista a Roberto Della Seta: "Il male dell'Africa sono i dittatori corrotti e i criminali"

Dalla Rassegna stampa

 

Il vertice di Roma si è appena chiuso con molte amarezze: niente soldi, o quasi, niente leader dei Paesi più ricchi, discorsi e appelli che alla fine sono rimasti generici. Ma per Roberto Della Seta, senatore del Pd e presidente di Legambiente, c`è un`amarezza in più e riguarda il Sud del mondo, i Paesi poveri, l`Africa in particolare. La sua «inadeguata» rappresentanza politica, emersa in modo evidente nel summit dei grandi assenti. «Anche la copertina dell`Unità con le cinque foto delle donne protagoniste del pre-vertice delle First Lady mi è sembrata cadere nella trappola di una operazione mediatica di leadership africane che sono non parte della soluzione ma parte, anzi gran parte secondo me, del problema della fame e del sottosviluppo in quel continente».
La Fao non avrebbe dovuto invitarle?
«Premetto che credo che la Fao faccia assolutamente bene a parlare con tutti, anche con i dittatori e non sono neanche tra quelli che considerano inutile un vertice come quello della Fao. Tutt`altro. Ma le mogli dei dittatori come la moglie di Ahmadinejad, la moglie di Mugabe, non credo che rappresentino o interpretino in qualche modo il vero, reale, ruolo della lotta per la democrazia e i diritti primari portato avanti davvero in prima fila dalle donne africane. Quando penso al nuovo protagonismo femminile africano penso ad esempio al Premio Nobel per la Pace Wangari Maathai».
Dovevano essere portate a far compere e vedere musei invece che a parlare di fame e allattamento al seno?
«Non so, quello delle dittatrici non mi pare un protagonismo che sia promettente. Mi pare sia stata scelta una passerella molto mediocre. Che poi conferma esattamente l`impostazione delle oligarchie corrotte e non democratiche di quei Paesi: a parole salvano il mondo, nei fatti sono regimi dispotici, corrotti, dove non sono riconosciuti i diritti umani e dove non c`è democrazia».
E se tra loro ci fosse stata anche Michelle Obama? Sarebbe stato lo stesso inopportuno?
«Non sarebbe stato così male. Il fatto è che hanno preso la scena loro che sono parte delle oligarchie che da lungo tempo ormai, da dopo la decolonizzazione degli anni Sessanta, detengono il potere con metodi anche criminali e comunque non democratici. Scorgo una radicata resistenza a sinistra e tra i progressisti a centrare l`attenzione sulle responsabilità dei regimi nati dalla decolonizzazione. Anche nel movimento no global si è sempre sottaciuta questa responsabilità, preferendo concentrarsi solo sulle colpe di Stati Uniti e dei leader europei. E così non ci siamo interrogati a sufficienza sulle politiche che queste oligarchie perseguono, sui loro metodi, sul fatto che la mancanza di democrazia è uno degli elementi che crea il sottosviluppo, che crea nuove schiavitù come ad esempio nella violazione dei diritti sindacali minimi in un regime come la Nigeria dove pure opera una grande industria italiana come l`Eni».
Ma come si può intervenire, esportando la democrazia come Bush?
«Certo che no. Questa domanda e la relativa risposta non hanno fatto altro che alimentare la sottovalutazione del deficit democratico, la rimozione delle colpe di quei regimi sul piano dei diritti umani e internazionali. E ha finito per incrementare una indifferenza, che è culturale prima che politica, per l`intera questione, a mio avviso invece centrale, del sottosviluppo e della fame nel mondo».

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