Intervista a Giovanni Fiandaca: non si affida ai pm il cambiamento

Dalla Rassegna stampa

Sulla candidatura alle Europee di Giovanni Fiandaca, il cattedratico che contesta la genesi del processo sulla cosiddetta trattativa Stato - mafia, sono scattati nel Pd ampi consensi non appena s’è lanciato contro «l’Antimafia delle star». Come fosse uno slogan liberatorio. Sgradito a un suo allievo, Antonio Ingroia, che ha subito collegato la candidatura alla fuga di Dell’Utri, indicando addirittura «un filo conduttore fra chi delegittima la trattativa e chi l’ha fatta».

Sorpreso professore dall’ex pm?
«Ho parlato con magistrati convinti che io possa introdurre elementi di razionalità in un dibattito ormai avvelenato dai pregiudizi. Il problema non è Ingroia, nei confronti del quale nutro affetto, ma un modo preconcetto e aggressivo di discutere che purtroppo non è solo suo. Nessuno può assurgere ad "ayatollah dell’Antimafia" arrogandosi il diritto di decretare cosa è Antimafia autentica o fasulla. Questo diritto non ce l’ha nessuno».

La sua candidatura coincide con recenti considerazioni di Violante e D’Alema. Il primo, dopo «il blocco di un ventennio», auspica una «disciplina dei magistrati». E il secondo rivela che la Bicamerale nel ‘98 saltò sulla separazione delle carriere dei magistrati.
«Ripensare l’Antimafia significa rimettere al primo posto una analisi critica della realtà, cominciando a riconoscere che il pluralismo non è un male da combattere, ma un valore da apprezzare e promuovere».

Anche su «Left» si legge che, dopo l’era Berlusconi, forse si potrebbe mettere mano alla riforma della giustizia.
«Sto scrivendo un breve saggio su populismo politico e populismo giudiziario. Ho letto per l’occasione anche testi di giornalisti qualificati che tornano a riflettere sulle stagioni succedutesi a Tangentopoli. A vent’anni di distanza, si deve prendere atto che è una vera illusione affidare alla magistratura le leve del cambiamento».

Rischia, come qualcuno l’accusa, di spaccare il «fronte»?
«Confido che la mia candidatura, ispirata a una prevalente esigenza di coesione nel Pd siciliano e nazionale, possa dare un contributo per aprire una nuova stagione che rimetta al centro l’iniziativa politica...».

Che fare?
«Devono essere la società e la politica a rinnovarsi. Bisogna riaffermare i principi di fondo di una democrazia liberale degna di questo nome. In parole semplici, i politici facciano sul serio i politici, gli imprenditori facciano sul serio gli imprenditori e lo stesso valga per i magistrati, senza ambivalenze, precostituiti collegamenti e indebite interferenze».

Di quali imprenditori parla?
«Ho l’impressione che i rapporti di un pezzo di imprenditoria non siano trasparenti, che campeggino zone d’ombra e non escludo che sussistano forme di reciproco e improprio sostegno con la politica».

A che cosa si riferisce?
«A quanto accaduto negli ultimi anni alla Regione siciliana. E importante che Confindustria sbandieri il vessillo Antimafia, ma mi preoccupa che quella bandiera rischi di diventare strumento per accordi politici o di potere che con l’Antimafia concreta hanno poco a che fare».

 

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