Intervista a Emma Bonino

Da europeista convinta come ha accolto il recente esito del referendum irlandese a favore del trattato di Lisbona, dopo il risultato contrario del giugno 2008 ?
Con sollievo.
Secondo Lei quale significato si deve attribuire a questo risultato ?
L’Irlanda era uno scoglio importante da superare e gli irlandesi hanno capito che in questo mondo da soli non si va da nessuna parte. Certo, non dobbiamo nasconderci che la crisi economica ha colpito l’Irlanda come ovunque e ciò ha favorito il ripensamento.
Quanto questo dato sarà in grado di influenzare e di rendere probabile la firma del presidente Ceco Klaus ?
Sono tra coloro che pensavano che Klaus l’avrebbe tirata in lungo e in largo ma realisticamente non può reggere, come vorrebbe, fino alle elezioni inglesi in giugno e dunque all’eventuale referendum prospettato da Cameron in caso di vittoria. Credo che lo showdown si avvicini, al vertice europeo di fine ottobre oppure al massimo a quello di metà dicembre.
Si corre il rischio che, una volta approvato, il Trattato sia già datato ?
Questo Trattato, come sappiamo, ha subito molti compromessi e il risultato finale obiettivamente non può « illuminare d’immenso » dei federalisti europei come noi Radicali. Ma è comunque un passo avanti nella governance europea e nell’istituzione di nuove figure comuni - un Presidente del Consiglio Ue più stabile e un Alto rappresentante per la politica estera in primis - e mi auguro che tanto basta per farci uscire da questa protratta situazione di stallo.
Cosa manca alle istituzioni comunitarie, ai suoi meccanismi ed ai governi europei per stare al passo con i tempi che le vengono imposti dal contesto delle relazioni internazionali nella quale è inserita ?
Prima di tutto occorrerebbero dei leader lungimiranti e un grande disegno federalista. All’orizzonte non vedo nessuno dei due. E, da federalista convinta, ritengo che la via che privilegia la qualità dell’integrazione sia oggi prioritaria rispetto alle discussioni metodologiche. Non è più questa l’epoca in cui il metodo (comunitario) sia al tempo stesso l’equivalente e la condizione unica dell’integrazione. Per avanzare oggi, c’è verosimilmente bisogno di un motore politico, di un nucleo duro di paesi fortemente motivati sul cammino di una maggiore integrazione che faccia da apripista a nuovi e più ambiziosi percorsi di integrazione. Non parlo di cooperazioni rafforzate, tributarie di procedure « pesanti » previste dai Trattati, ma di Governi « like-minded » pronti a condividere i rischi e l’onere politico di cessioni di sovranità ulteriori, appunto ai meccanismi comunitari, per il bene comune di tutti. E’ stata questa, non dimentichiamolo, la via che ha segnato l’avvio delle più significative realizzazioni politiche dell’integrazione nell’ultimo decennio : dall’Euro a Schengen, dalla Difesa (St Malo) a Galileo. E’ la via del coraggio di pochi che finisce col catalizzare l’entusiasmo di molti.
Dal suo punto di vista quali sono i nodi europei ai quali non è più possibile rimandare una risposta ? Turchia ? Balcani ?
Credo senz’altro che la questione dell’adesione della Turchia sia la « cartina di tornasole » su che tipo di Europa vogliamo, non soltanto dal punto di vista della credibilità - perché pacta sunt servanda avendo noi preso impegni formali con la Turchia - ma più profondamente se confermare o meno la visione di un’Europa che non è un progetto geografico, né tantomeno religioso, ma un progetto politico che vede nell’allargamento e consolidamento della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto il valore principale da portare avanti.
Condivide l’espressione di Giuliano Amato che definisce l’Unione un’« ermafrodita » ?
Cosa vuole dire Amato con questa definizione ? Che l’Europa è un’entità ambigua ? Non mi sembra questa l’immagine più calzante. Semmai, vedo una Europa intorpidita, al limite della paralisi, che stona in maniera stridente con il contesto internazionale che muta costantemente e a ritmi evidentemente « non europei ».
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