Int. a V. Olita - «No ai falsi liberali Quelli autentici cambino l'Italia»

«Ma i liberali marciano? Sì, quelli veri lo fanno». Vincenzo Olita, 63 anni, sociologo e direttore di «Società libera», marzullianamente s'interroga e si risponde sul pregiudizio intorno a uno dei compiti principali dell'associazione apartitica di cultura politica che guida da un decennio: la difesa dei diritti umani. Sabato 13 ottobre, alle 15 - in contemporanea con Barcellona, Berlino, Parigi e Bruxelles - si terrà a Roma (da piazza Bocca della Verità al Colosseo) la marcia internazionale per la libertà delle minoranze e dei popoli oppressi (tutte le informazioni su www.societalibera.org). Olita, che la organizza da cinque anni, è entusiasta del successo che l'iniziativa riscuote all'estero - «Una partecipazione straordinaria e commovente» mentre è costretto a cercare una spiegazione dell'indifferenza italiana: «C'è una grande insensibilità nel nostro Paese. Il problema è culturale e istituzionale. I nostri intellettuali difficilmente si appassionano al tema e si tengono ben lontani dall'impegno: professano un liberalismo teorico, chiacchierato e mai praticato, scrivono i libri e se li presentano tra loro, discutono di massimi sistemi, si schierano con questo o quel partito ma le mani non se le sporcano mai. Essere liberali vuol dire dare un contributo: l'unica militanza è l'impegno, l'esempio, la denuncia, l'azione. Come fanno a dichiararsi liberali se si occupano solo di fatti domestici? E la primavera araba? E i monaci tibetani? E il popolo Karen massacrato dal governo di Rangoon? Il liberalismo non è un'ideologia ma una visione del mondo e della vita con al centro la persona, la libertà e la responsabilità individuale. Bisogna praticare un'eterna vigilanza verso il potere costituito e verso ciò che di ingiusto accade nel mondo». Anche la politica e i media, qui, hanno molte responsabilità: «Il compito di un vero liberale non è denunciare le cose dopo, quello purtroppo è diventato il compito dei nostri politici e di certa stampa. Tranne i Radicali, nessuno da noi si batte per i diritti umani delle minoranze lontane. Bonariamente ci rimproverano l'estraneità del termine "marcia" al vocabolario liberale... Allora capisco perché il liberalismo è estremamente minoritario in Italia: se ne stanno tutti con le mani in mano». La «proposta liberale» di rivoluzionare la classe dirigente avanzata da «Italia Futura» e «Fermare il declino» - Montezemolo e Giannino - non lo appassiona neanche un po': «Sono operazioni elettorali, è tutto un agitarsi alla ricerca di spazi. No, grazie: ci è già bastata l'esperienza di un imprenditore con i suoi conflitti d'interesse, non abbiamo certo bisogno di riedizioni. Il fatto è che definirsi liberali non fa male a nessuno: è una qualifica che in questa Babele generale usano un po' tutti. E invece io sono convinto che essere davvero liberali, oggi, non significhi cercarsi un angolino politico ma ragionare sul presente - capire la realtà, anche con una marcia silenziosa - per riuscire finalmente a cambiare il futuro del Paese».
© 2012 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati
SU