Int. a I. La Russa - "Non uscirà dal partito. Ma se lo fa io resto"

Lo conosce «da 36 anni, tutti passati a condividere ogni grande decisione», e oggi ha una certezza Ignazio La Russa: «Non è vero che Fini ha deciso di uscire dal partito». Una ipotesi questa che il coordinatore del Pdl non vuole «nemmeno prendere in considerazione», e che comunque non lo vedrebbe tra i protagonisti: «Non ci sto a frammentare un’esperienza vincente che va invece rafforzata come quella del Popolo della Libertà». E però, anche da La Russa arriva l’invito a chiudere questa pagina difficile «con la chiarezza» delle rispettive posizioni. Che potrebbe passare anche per la costituzione nel partito di una minoranza strutturata, quella finiana, che si contrappone alla maggioranza berlusconiana: «Può essere un passaggio in vista del congresso». Purché non si richieda una ridistribuzione di posti e responsabilità: «Quello potrebbe avvenire solo dopo un congresso».
Per cominciare, ma è vero che lei era pronto a dimettersi per risolvere la situazione?
«Io sono sempre stato pronto a farlo, tutti sanno che se ho accettato di fare il coordinatore è perché me l’ha chiesto Fini. Certo, non me ne vado per far posto ai giochetti politici o ai capricci di qualcuno... Se invece Fini dovesse mai uscire dal Pdl, ma non ci credo, mi dimetterei, anche non condividendo la sua scelta, perché sono stato scelto in un altro quadro politico. Se poi mi volessero confermare, sarebbe la volontà del partito...».
Ma lei crede davvero che sia possibile una riconciliazione, o come molti berlusconiani, pensa che quello del cofondatore sia un «problema personale» irrisolvibile?
«Penso che, come tutti gli uomini, anche Fini è influenzato dal proprio carattere, da un certo stato d’animo. Ma è vero che ci sono temi politici su cui ha effettivamente una visione diversa».
Lo ha messo nero su bianco: aspetta risposte sul rapporto con la Lega, sul ruolo di Tremonti, sulla gestione delle riforme, sull’assetto del partito. E Berlusconi ha risposto che non deve darne alcuna.
«Discuteremo in direzione, in assemblea, organi già convocati prima della richiesta di Fini. Ma alcuni punti fermi devono esserci: sulla Lega, faremmo bene ad ascoltare i parlamentari e il nostro popolo del Nord, e a capire che, se non sì deve seguire pedissequamente quello che la nostra gente ci chiede su sicurezza o immigrazione, non si può nemmeno far finta di non sentire volando alto... Tremonti? La politica del rigore l’abbiamo condivisa tutti, e non è vero che governa da solo. Sulle riforme poi, quello è proprio il terreno dove sarebbe augurabile un ruolo fattivo dei presidenti delle Camere. Però non si può cominciare subito con le differenziazioni quando ancora non esiste una bozza ufficiale del Pdl, altrimenti il rischio è che i consigli sembrino veti».
Insomma, le vostre visioni divergono parecchio... Sulla richiesta di azzeramento dei vertici del partito per ristabilire il rapporto 70-30 tra ex FI ed ex An è da immaginare un’altra porta chiusa...
«Guardi, a me Fini questa richiesta non l’ha mai fatta. E a chi dice che c’è un problema di organigrammi, rispondo che quello esistente è stato deciso tutto, dal primo all’ultimo ruolo, con il suo imprinting. E nel rapporto 70-30, spesso l’ex An è riuscita ad arrivare in certe realtà al 50-50».
Insomma, non si vedono vie d’uscita all’impasse?
«Beh, io penso che tutto possa cambiare, ma per farlo serve un percorso congressuale. Sei finiani volessero costituire una componente minoritaria, nel partito, potrebbero chiedere garanzie che non ci saranno epurazioni, regole di dibattito. Ma nessun "riequilibrio": quali saranno i pesi di ciascuna componente si vedrà a congresso».
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