Int. a I. La Russa - "L'unica destra siamo noi. Ganfranco fa un'altra cosa"

Dalla Rassegna stampa

La prima regola della corrente è che non si parla della corrente. «Non era questo il senso della mia riunione. Eppoi, secondo voi, se devo fare una corrente, convoco soltanto i dirigenti lombardi del partito? E non la faccio con Gasparri? E non condivido con Alemanno e Matteoli?»
Ok, ministro La Russa, allora che roba è "La nostra destra nel PdL"?
«E’ l’opposto di una corrente. Al mio convegno ha partecipato tutta la ex An che crede nel progetto del PdL e ci sta orgogliosamente dentro. Noi siamo sempre gli stessi. Sono altri che sono diventati un’altra cosa».

Gli altri sono i finiani?
«Già. E in Lombardia contano lo zero virgola zero-qualcosa per cento».

Ha fatto l’appello?
«Fini a Milano ha solo la Muscardini».

E basta?
«C’è Landi di Chiavenna che, d’accordo con Fini, abbiamo indicato come assessore a Milano. Ma lui è un liberal, giusto che stia con Gianfranco».

Qui c’è del veleno...
«No, anzi. Durante il convegno ho parlato bene di Fini. Rispetto chi ha deciso di fare altro, noi siamo la destra. Dentro al PdL».

Volete il copyright?
«Rappresentiamo una destra moderata, ma forte sul piano identitario. Con posizioni chiare su sicurezza, immigrazione, etica, solidarietà. Una destra vicina ai modelli della Spagna, della Francia, della Germania».

Fini dice che la sua è la destra del futuro...
«La nostra è quella del presente. E con tutto il rispetto, è difficile assimilare le posizioni di Gianfranco ad altre esperienze europee. Dico di più...»

La prego.
«Onestamente, le posizioni di Fini, di FareFuturo, del Secolo d’Italia... sì, insomma, stento a chiamarla destra».

E cosa è allora?
«Non mi è chiaro. E non da oggi».

Da quando?
«Sono quattro anni che mi arrampico sugli specchi per provare a coprire le differenze tra le posizioni di Gianfranco e quelle del partito».

Perché l’ha fatto? Perché ha nascosto il disagio?
«Per il rapporto di fiducia e per l’amicizia».

Tutto finito...
«Oggi non sono più obbligato a rincorrere Gianfranco per tenere unita An. Rimango fedele all’identità, quella della nostra destra, e al progetto del partito unico».

Strade separate, con Fini...
«Se fosse stato chiaro che non c’era alcun rischio scissione, non saremmo arrivati a questo punto».

E invece?
«S’è scoperto che era una bugia. E che era pronta la costituzione di gruppi parlamentari autonomi dei finiani».

Come l’hanno messa con voi?
«Hanno organizzato una riunione di parlamentari escludendo il sottoscritto, Gasparri, Matteoli e Alemanno. Posso capire il mancato invito degli altri, ma proprio io? E dire che ho sempre fatto il cucitore...».

Come è finita?
«Quando abbiamo provato a discutere la scelta, c’è stato detto che oramai era compiuta».

Prendere o lasciare.
«E noi abbiamo detto: scusa, no. Avevo già vissuto una scissione, era il 1976».

Democrazia nazionale che usciva dal Msi.
«I miei amici, quelli della corrente "Destra popolare", andarono tutti via. Tatarella, io e De Corato decidemmo di rima nere con Almirante».

Amarcord.
«Io spero che la storia stavolta vada diversamente. E che Fini e i suoi non se ne vadano».

Bocchino la accusa di aver contribuito alla sua epurazione.
«Sono stato io a insistere perché rimanesse vice presidente. Sempre io a chiedere che il nuovo vicario non fosse indicato subito. Ma se lui non ci crede, non me ne frega nulla».

La vostra "non-corrente" serve per attrarre gli ex An che stanno con Fini?
«Ma no, non è così. Figurarsi se mi metto ad attrarre la Muscardini...»

Qual è l’obiettivo?
«Dire che la destra c’è ed è rappresentata nel Popolo della Libertà. E nessuno deve illudersi che la proporzione del 70-30 sia decaduta. Esiste, e andrà avanti fino al prossimo congresso».

La "nostra destra" punta a rappresentare quel 30 per cento?
«E’ necessario non rompere l’equilibrio. Perché è un equilibrio che facilita l’osmosi tra exAn ed ex Forza Italia. Eppoi quelle garanzie le ho conquistate io, con la trattativa».

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