Int. a R. Kadeer - «Basta repressione È ora che Pechino tratti con gli uiguri»

Dalla Rassegna stampa

Il suo obiettivo è l'autodeterminazione degli uiguri. Né più, né meno. Semplice e diretta, minuta ma instancabile, Rebiya Kadeer, 63 anni, voce in esilio dì un popolo travolto dalla Storia, non crede più nella possibilità di vivere all'interno della Repubblica Popolare cinese seno n sarà garantito un distacco più netto. «Dopo il massacro da parte delle forze di sicurezza di Pechino, nel luglio di un anno fa - spiega al Corriere - la maggioranza della mia gente ritiene che soltanto un Turkestan Orientale (per i cinesi: la provincia dello Xinjiang, ndr) separato possa garantire loro sicurezza e diritti fondamentali». Rebiya Kadeer, sei anni in una prigione, in Cina, per «attività separatiste», presidente del Congresso mondiale degli uiguri che ha sede a Washington, sarà a Roma domani per prendere parte alla terza edizione della Marcia internazionale per la libertà, organizzata su iniziativa di Società Libera con la partecipazione del Partito radicale nonviolento e dei Radica- li italiani. Un evento quest'anno dedicato ai popoli birmano, iraniano, tibetano e, appunto, uiguro. «Ho gradito moltissimo l'invito di Società Libera conferma la pasionaria, candidata per diversi anni di seguito al Premio Nobel per la Pace -. Sono convinta che questa manifestazione pacifica aiuterà gli italiani a comprendere le, nostre ragioni e approfondire la conoscenza di un regime autoritario: quello cinese».
 
Com'è la situazione nello Xinjiang a un anno dai moti anti-cinesi?
«La situazione sta peggiorando terribilmente. Invece di cercare di comprendere le nostre istanze, le ragioni di una sollevazione, Pechino ha colto al balzo l'occasione per intensificare la repressione e la distruzione delle città, della cultura, della lingua, della religione e delle usanze del popolo uiguro. Allo stesso tempo, sono aumentate le requisizioni di terre e proprietà per facilitare la colonizzazione dei nostro territorio da parte dei cinesi».
 
Due tra i suoi figli sono in prigione: ha speranza che possano essere liberati?
«I miei figli sono stati incarcerati in rappresaglia per le mie aperte critiche contro Pechino dopo la mia liberazione e il mio esilio negli Stati Uniti, a partire dal marzo 2005. Uno è stato condannato per "evasione fiscale", un altro per aver "complottato contro lo Stato". Sono in prigione da quattro anni, in pessime condizioni. Io continuo a sperare che il governo cinese voglia fare la cosa giusta: liberarli perché non siano puniti per le "colpe" della madre».
 
Lei è stata candidata più volte al Nobel per la Pace: cosa pensa del premio conferito al cinese Liti Xiaobo?
«Sono davvero felice per lui. E spero che questo premio aiuti l'intera Cina nel suo cammino verso il progresso e la democrazia».
 
Il Xinjiang è da secoli nella sfera di influenza cinese. Cosa c'è in comune tra i vostri due popoli?
«Sia il popolo cinese sia il popolo uiguro sognano diritti umani, democrazia e libertà: ecco che cosa abbiamo in comune. Tuttavia, il Turkestan Orientale, così chiamiamo noi la nostra terra, è parte della sfera cinese da un tempo relativamente breve. Difatti, Xinjiang, in mandarino, significa proprio: "Nuovi territori". Fu la dinastia mancese dei Qing, che non era nemmeno etnicamente cinese, a chiamare così il nostro mondo, nel 1884. Dal 1949, con la fondazione della Repubblica Popolare, è in atto una politica sistematica di assimilazione degli uiguri: vogliono cancellare la nostra identità».
 
Cosa vi proponete di fare?
«Io chiedo al governo di Pechino di dar vita al più presto a un negoziato per trovare, iinsieme, una soluzione pacifica alla questione del Turkestan Orientale. Mi batto perché per gli uiguri ottengano il diritto all'autodeterminazione. Non crediamo più all'autonomia. Vogliamoqualcosa dì più».

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