Int. a R. Giachetti - «La mia una battaglia giusta, Il Colle ancora più duro»

Dalla Rassegna stampa
@Mangiaroberto è stato uno degli hastag in vetta alle classifiche della settimana. Adesso può riposare. Roberto Giachetti, al cui sciopero della fame era stato dedicato, deve ricominciare a mangiare. Dopo 88 giorni consecutivi solo con tre caffè al giorno e liquidi. «Rischio emorragia al colon incompatibile con digiuno» dice il referto medico. Lo annuncia il deputato del Pd ridotto a pelle e ossa, il viso scavato camuffato dalla barba in una conferenza stampa durante la quale legge la lunga lettera inviata dal Capo dello Stato.
 
Giachetti, la lettera del Colle vale di per sé l'agonia dello sciopero?
«Quel messaggio conferma riga dopo riga che in questi 88 giorni ho combattuto per una battaglia giusta e necessaria: il Parlamento ha il dovere di modificare la legge elettorale. Il Quirinale è stato ancora più esplicito schierandosi al mio fianco quando scrive di "considerare giusta la causa" e "meritevole di ogni rispetto" la scelta del digiuno. Non posso certo interpretare la parole di Napolitano. Ma prendendole per quello che sono, quando parla di "braccio di ferro" e di "gioco degli equivoci", mi sembrano vere e proprie bordate all'inezia colpevole di questo Parlamento. D'altra parte, io ho cominciato il digiuno proprio dopo uno dei suoi appelli a che la legge elettorale fosse modificata in fretta».
 
Lei sospende il digiuno su ordine dei sanitari, ma la legge non c'è. Ha fallito?
«Non posso certo dire missione compiuta. Rivendico però il merito di aver tolto le varie proposte di legge dalle segrete stanze dove operavano su ordine delle segreterie i vari Verdini e Migliavacca e Cesa e di averle portate, dopo un tira e molla insopportabile, alla luce del sole delle commissioni parlamentari competenti. Spero, con questo, di aver reso il mio piccolo ma sostanziale contributo al mio partito, il Pd».
 
È convinto anche del merito della riforma?
«La soglia del 40% alla coalizione non è troppo alta, mi pare logico visto che in palio c'è il 55% dei seggi».
 
Il 5 dicembre il testo sarà in aula al Senato. È la volta buona?
«Spero di sì. Il presidente del Senato Renato Schifani che in questi mesi ha continuato a dare scadenze senza rispettarle, deve essere più deciso».
 
Rinvii tattici o necessari?
«Aver trascinato fin qui la discussione serve solo per dare agio ai giochi dei partiti. Faccio un esempio: con il Porcellum entrano nella coalizione i partiti che raggiungono il 2%. Il centrodestra frantumato ha tutto l'interesse, oggi, a mantenere la legge attuale. Anche Grillo difende il Porcellum: i suoi candidati possono essere solo nominati».
 
Colle a parte, in questi mesi ha ricevuto più di 5 mila messaggi, migliaia di tweet, un gruppo di sostegno su Facebook. Quanto l'hanno aiutata?
«Moltissimo perché mi hanno fatto capire giorno dopo giorno che stavo facendo la cosa giusta: cercare di ridare credibilità alla politica. Che non la sta perdendo solo per i casi Fiorito, Lusi e Maruccio ma anche per questa incapacità di cambiare. Fuori di qua non ci sono solo Grillo e l'antipolitica ma molta voglia di vedere la politica al lavoro, capace di assumere responsabilità. Il gruppo di sostegno su Facebook, ad esempio: è stato coordinato da Raffaele Pizzotti, un signore che non conosco. Dal 10 agosto hanno sostenuto non tanto me, quanto la causa di una nuova legge elettorale».
 
Maurizio Turco, deputato radicale, sciopera da settembre per il motivo opposto al suo: non bisogna cambiare la legge un anno prima del voto.

«Solidarizzo con chi individua nel digiuno uno strumento politico. Nella battaglia di Turco c'è però una contraddizione, visto che a luglio i Radicali gridavano di volere il doppio turno francese». 

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