Int. a E. Palmesano - Prosopopea di un storia all'ultima spiaggia

Prima che questi mesi estivi prendessero una svolta politica inattesa, tra case di Montecarlo e affari di famiglia sbattuti in prima pagina, prima degli attacchi personali e delle pubblicazioni di contratti di vendita di proprietà private, di dichiarazioni dei redditi e malefatte della coppia Elisabetta Tulliani Gianfranco Fini, c'era un uomo che aveva già previsto una simile baraonda. Enzo Palmesano, ex giornalista del Secolo d'Italia, una vita nel Movimento sociale (Msi) e poi in An, nel libro Gianfranco Fini - Sfida a Berlusconi porta avanti la tesi secondo cui «l'antiberlusconismo di destra è uguale all'antiberlusconismo di sinistra, stesse dinamiche, stesso bisogno di vedere come unico nemico Silvio Berlusconi».
Lei è stato protagonista della famosa svolta di Fiuggi dei 1995, quella in cui l'Msi divenne An, come autore del documento di condanna dell'antisemitismo e dell'antiebraismo (il famoso "emendamento Palmesano"). Insomma, la prima grande svolta di Fini l'ha inventata lei.
Io credo che c'è stato un tempo in cui Fini è stato il maggior avversario di quel che oggi conosciamo come "finismo". Tutto quel che il presidente della Camera dice oggi, e che io condivido, era all'epoca l'esatto contrario del pensiero di Fini.
Fini fu scelto da Giorgio Almirante, fondatore dell'Msi. Secondo la vulgata di palazzo, Fini sarebbe stato nominato da Almirante perché più "presentabile" rispetto ad altri camerati.
Si dice così, ma, in realtà, credo che la cosa sia più complessa. Almirante gli consegnò la guida del partito, ma, in cuor suo, sperava di continuare a tenerne le redini ancora per un po', all'ombra del giovane Gianfranco, atteggiandosi a padre nobile. Il motivo più profondo è che Almirante aveva bisogno di uscire dalla gabbia del neofascismo. Per farlo, ricorse a Fini: giovane, nato nel dopoguerra, non fascista, non nostalgico. Fini quindi come continuatore dell'almirantismo, uomo adatto per rivolgersi a un pubblico più moderato. Ma - e qui sta l'errore storico di Almirante - era un modo per cambiare le definizioni, senza cambiare la sostanza. Fini si prestò all'operazione, rimanendo, sotto altre vesti, in continuità con quella tradizione. La cosa singolare da notare oggi è che, dopo tutte le giravolte di Fini, gli almirantiani sono passati in blocco con Berlusconi. E i seguaci dell'ala movimentista del partito, se vogliamo anche un po' sinistreggiante e terzomondista, che prima seguivano Pino Rautí e Beppe Niccolai e che osteggiavano Fini, oggi sono suoi stretti collaboratori, vedi Fabio Granata.
C'è un capitolo del suo libro dedicato al singolare rapporto di amore e odio tra Marco Pannella e Fini.
Il rapporto tra Pannella e Msi-An parte da lontano. All'inizio il leader dei radicali era visto ambiguamente come un interlocutore, un nemico e una tentazione. Radio Radicale è stata tra le prime a trasmettere i nostri convegni e Pannella ebbe il coraggio di partecipare anche a uno di questi. Ricordo, ad esempio, il suo intervento a Sorrento nell'82. Ma non solo questo: con Pannella più volte ci si è accordati per scambi di presenze. Non solo amore, ma anche odio: tra Fini e Pannella sono volate spesso parole grosse. Tuttavia il Partito radicale ha continuato ad essere per Fini una tentazione, consapevole che questo potesse aiutarlo a legittimarsi in un certo mondo. È, infatti, interessante notare che l'attuale compagna di Fini, Elisabetta Tulliani, sia stata più volte presente agli incontri dei Radicali, come ha poi confermato Pannella. La Tulliani era tra gli elettori della Bonino, non di Fini.
Che ruolo ha avuto Tulliani nell'avvicinare Fini a molte tematiche care ai radicali, dalle questioni bioetiche a quelle sui diritti umani?
Mi sembra un po' superficiale dare la "colpa" di questi ripensamenti alla sua attuale compagna. Il cambiamento di Fini parte da più lontano, visto che negli anni ha sempre di più sentito il bisogno di conquistare una più ampia fetta di elettori. Ma per far questo ha dovuto smarcarsi dalle posizioni tipiche del neofascismo, cioè da quella storia che lo aveva portato al potere. Ha dovuto, insomma, innanzitutto rinnegare se stesso per fare carriera.
L'estate è stata movimentata. Berlusconi si è di nuovo trovato a litigare col presidente della Camera. Eppure sono stati alleati per tanti anni. Cosa non ha funzionato tra i due?
I berlusconiani ritengono Fini difficile da gestire perché sanno che il suo intento ultimo è quello di liberarsi e scavalcare il loro leader. Tutti ricordano quando alle Europee del 1999 si alleò con Mario Segni, coi risultati disastrosi che tutti ricordiamo. Ma i dissapori fra i due sono più antichi. Il difficile rapporto tra Fini e Berlusconi inizia già nel 1993 - mentre Fini era candidato contro Francesco Rutelli nella corsa al comune di Roma - e l'imprenditore disse «fossi un cittadino romano, voterei Fini». Da sempre questa frase viene letta come lo "sdoganamento" di Fini da parte di Berlusconi, l'inizio del rapporto tra i due. In realtà, Fini, invece di apprezzare quella dichiarazione, la prese come un atto di sfida. In un'intervista al Giorno, Fini disse che «ognuno doveva fare il suo mestiere»; era sospettoso di questo imprenditore, temeva, come poi avvenne, che volesse fare un partito. E lo disse chiaramente sempre in quella intervista: «Penso che l'Italia non abbia bisogno di alcun nuovo partito». Poi, quando ha visto col passare degli anni che il blocco sociale della Prima Repubblica, rappresentato dal Pentapartito, traslava in Forza Italia, e poi, di nuovo nel Pdl, ha capito che per lui non c'era più spazio. Berlusconi è anche riuscito ad occupare l'unica casella che potrebbe portare un leader della nostra anomala destra italiana al potere: il ruolo del campione dell'anticomunismo.
Quindi? Quale futuro per Fini?
Sinceramente, auspicavo che i due fondatori del Popolo della libertà trovassero una sintesi tra le rispettive esigenze. Insomma, penso che la cosa migliore per tutti sia che Fini e Berlusconi si mettano intorno a un tavolo e si chiariscano. Ma non credo che ciò avverrà. Credo che l'unico sviluppo possibile sia lo spostamento di Fini a "sinistra", l'unico spazio di agibilità politica che gli è rimasto. Che poi, da quella parte, lo lascino passare, è una storia che deve ancora essere raccontata.
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