Int. a P. Soldini - Cartellino "giallo"

Dalla Rassegna stampa

Forse non è stato uno sciopero con la S maiuscola, ma il Primo Marzo è stato un evento di portata storica. Un movimento spontaneo è cresciuto, ha portato in piazza decine di migliaia di persone e ha saputo colorare di giallo l'Italia delle retate razziste e della cacciata degli stranieri da Rosarno. Ha preso in contropiede anche il centrosinistra, da anni paralizzato sul tema dell'immigrazione per paura di perdere consenso e ha dato una scossa anche ai sindacati, a partire dalla Cgil, che nei confronti dello sciopero dei migranti si è mossa con molta cautela. Cosa cambia il giorno dopo? Ne parliamo con Pietro Soldini, responsabile immigrazione della Cgil.

Come valuta questa bella giornata?
È stata una giornata importante che ha messo in luce una nuova consapevolezza di un mondo vasto di immigrati e italiani di fronte al pericolo del razzismo. È emerso un movimento diffuso e autorganizzato che testimonia la responsabilità soggettiva delle persone. Si tratta di un elemento sociale e politico nuovo, anche rispetto al centrosinistra e all'opinione pubblica progressista
che restava prigioniera e obnubilata dalla stigmate del buonismo, incapace di opporsi alla destra che invece propone un razzismo militante. Ora invece si è palesata una militanza antirazzista, e ce n'era bisogno.

Immaginava che andasse così bene?
Si, è stata una giornata preparata da tante iniziative, anche la Cgil ha lavorato mettendo in campo le proprie strutture, Me l'aspettavo perché respiravo questo clima nuovo anche all'interno
del sindacato, un clima che nasce dalla sofferenza e dalla crescente aggressione xenofoba. Per questo abbiamo aperto una interlocuzione positiva con il comitato organizzatore,

Nel sindacato la parola «sciopero migrante» non è piaciuta, c'è chi ha parlato di «sciopero etnico». Adesso siete disposti a cambiare idea?
Di fatto non è stato uno sciopero, la parola sciopero è stata usata impropriamente, e questo è un fatto negativo. Lo sciopero è un'arena formidabile, ha una sua storia, anche normativa e contrattuale. A parte qualche Rsu che legittimamente si è mossa nelle proprie realtà, nessun sindacato ha proclamato scioperi generali, e gli scioperi li proclamano i sindacati. Non si può cedere ad un visione per dire così hollywoodiana secondo cui la giustizia sociale trionfa perché un giorno gli immigrati spariscono e gli italiani si rendono conto di quanto ne hanno bisogno. La realtà e un'altra: siamo di fronte ad uno scontro duro che non è demandabile ai soli soggetti stranieri. Non è che noi stiamo con gli immigrati. Gli immigrati sono carne della nostra carne. Non si tratta di fare la rivolta degli schiavi. La questione dell'immigrazione è una enorme questione nazionale e una battaglia di tutti.

Non crede che il primo marzo non sia stato un vero sciopero proprio perché I sindacati, Cgil compresa, non hanno voluto che lo fosse?
Insomma, non è immaginabile che uno indica uno sciopero su facebook e poi la Cgil aderisca! Se volevano fare uno sciopero prima avrebbero dovuto parlarne con il sindacato, avremmo discusso tempi e modi.

Va bene, se questo è il problema, allora la prossima volta sarete voi ad indirlo?
E infatti è un tema all'ordine del giorno. Noi stiamo costruendo un percorso che è iniziato il 17 ottobre con la grande manifestazione di Roma e che si ripete con il prossimo sciopero generale del 12 marzo, che ha l'immigrazione tra i punti fondamentali nell'ambito della «primavera antirazzista». Forse un giorno faremo uno sciopero generale dedicato solo al tema dei migranti.
Ma bisogna costruire gradualmente la consapevolezza in tutto il sindacato e nei lavoratori che la battaglia dei migranti è una battaglia di tutti. Non sono cose che si improvvisano: se proclamiamo uno sciopero poi dobbiamo farlo davvero, deve riuscire e avere conseguenze concrete. Bisogna convincere anche quei lavoratori, e ci sono, che dicono: la Cgil mi difenda dal
padrone e la Lega dallo straniero.

Si, ma a volte si deve scegliere da che parte stare, altrimenti gli stranieri stanchi di aspettare potrebbero anche farsi un sindacato da soli. Del resto, già se ne parla.
Sarebbe un errore, un sindacato corporativo, un'autosegregazione. Però ammetto che dovremmo muoverci più velocemente, ci attardiamo su contrapposizioni congressuali e perdiamo di vista la realtà. Abbiamo 300 mila iscritti stranieri, il 10% dei lavoratori attivi, eppure pochissimi quadri sono stranieri. Questa è una sfida storica che il sindacato non può perdere, anche se ci sono resistenze. D'altronde ci abbiamo messo qualche decennio a capire le questioni di genere e siamo ancora in ballo con la necessità di operare un rinnovamento generazionale. 

Il primo marzo può darvi una spinta?
Spero di sì. E gli riconosco questa importanza
 

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