Int. a P. Fassino - “È un passo decisivo verso la democrazia Sanzioni da rivedere”

È un grande passo verso la democrazia. L’elezione di Aung San Suu Kyi è il punto di approdo di un processo cominciato un anno e mezzo fa e allo stesso tempo il punto di partenza di una nuova fase di cambiamenti democratici che appaiono sempre più irreversibili». Piero Fassino, dal 2007 al 2011 inviato speciale dell’Unione Europea per la Birmania, non nasconde la gioia, e l’emozione, di fronte alla vittoria di «una donna di incredibile personalità e coraggio». E di fronte al successo della comunità internazionale che è riuscita ad accompagnare l’evoluzione positiva di uno dei regimi più repressivi dell’Asia.
Sindaco, quanto peserà sui futuri sviluppi politici, questo trionfo per Aung San Suu Kyi e il suo partito?
«È un riconoscimento plebiscitario da parte dei birmani per una donna coraggiosa, che ha saputo interpretare la loro aspirazione alla libertà e alla democrazia. Non dimentichiamo che ha vissuto per 17 anni in quasi totale isolamento, eppure ha ritrovato subito un riconoscimento da parte della sua gente. Ma questa vittoria non ha solo un valore morale, è anche un importante segnale politico».
Dobbiamo aspettarci una accelerazione della transizione verso una piena democrazia?
«Dobbiamo augurarci e in ogni caso agire perché sia così. Anche perché in un anno sono successe tante cose. La liberazione di Suu Kyi, nel novembre 2010. Le elezioni generali, seppure controllate dal regime, che hanno portato in parlamento partiti ed esponenti dell’opposizione e delle minoranze etniche. È stato costituito un governo civile ed eletto un presidente, Thein Sein, che per quanto legato alla giunta sta scommettendo sull’apertura. Negli ultimi mesi, poi, è stata abolita la censura, liberati i prigionieri politici e il partito di Suu Kyi è stato nuovamente iscritto nel registro dei partiti. E infine è caduto il veto alla candidatura della leader birmana. Sono segnali che la comunità internazionale si aspettava».
A questo punto le sanzioni sono da rivedere? O dobbiamo aspettare le elezioni generali del 2015?
«L’Unione europea ha già dichiarato che in presenza di passi concreti era disposta a sospenderle. Del resto ha già rimodulato alcuni provvedimenti, come per esempio il regime dei visti per alcuni esponenti del nuovo governo, che sono stati facilitati».
Possiamo parlare di vittoria della Comunità internazionale?
«Certamente ha giocato un ruolo positivo e attivo nel sostenere Suu Kyi e nello sollecitare il regime ad aprirsi. Un ruolo determinate hanno avuto i Paesi asiatici, specialmente l’Indonesia, che nei decenni scorsi ha conosciuto un’evoluzione simile, dalla dittatura militare alla democrazia. La stessa Cina, che ha interessi enormi nel Paese, non ha fin qui ostacolato il processo. E la Ue ha saputo mettere in campo un mix di sanzioni e dialogo, con la società civile locale e anche con il regime, che è risultato vincente. Anche se all’inizio c’era diffidenza».
Da parte di chi?
«Ricordo che appena assunsi l’incarico di inviato speciale, un Ambasciatore indiano mi disse: “Ma lei è europeo? Non avete già fatto abbastanza danni voi europei in Asia?”. Invece questa volta l’Europa ha dato un contributo a una buona causa».
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