Int. a N. Roubini - "Usa senza più munizioni per superare la crisi il deficit è insostenibile"

Dalla Rassegna stampa

 

«La recessione forse non ci sarà tecnicamente, e comunque resta il 40% di possibilità che la crescita vada sotto zero. Ma vivere per diversi anni, in America come in Europa, con una crescita stentata intorno all'l% sarà esattamente la stessa cosa. E' una recessione mascherata». Nouriel Roubini è diventato ancora più di casa qui a Villa d'Este da quando ha firmato, l'altro giorno, un accordo con lo studio Ambrosetti-The European House che organizza il tradizionale Forum. In virtù dell'intesa, la Roubini Global Economics, il think tank creato nel 2004 dall'economista della New York University, metterà in comune il suo network di più di 100 ricercatori con quello di Ambrosetti, forte a sua volta di 180 professionisti, con l'obiettivo di dar vita a ricerche congiunte. Per ora ha portato qui al forum i risultati delle sue, di analisi, che inducono a tutt'altro che all'ottimismo.
Eppure qui al Forum gli imprenditori si dicono moderatamente ottimisti sui prossimi sviluppi.
«E invece le dico che sulla base delle nostre analisi, la domanda aggregata in America, costituita al 70% dai consumi individuali, si presenta ancora debolissima e del tutto insufficiente a sostenere una crescita degna di tal nome. E questo è dovuto alla spaventosa riduzione di ricchezza - sia sotto forma di asset finanziari che di proprietà immobiliari - che c'è stata durante la crisi, e al perdurare delle difficoltà di credito ad essa collegato. Quanto all'altra componente della domanda, e cioè l'iniziativa industriale di acquisto di beni strumentali e di rinnovo di apparecchiature, è sì positiva ma anch'essa di pochissimo. E quel che è peggio, soggetta agli incentivi e alle agevolazioni fiscali che hanno caratterizzato tutta la prima parte dell'anno e hanno permesso la ricostituzione degli inventari. Cessate le facilitazioni, si apre un baratro. Questo è il quadro che riguarda gli Usa, l'economia-guida dal pianeta. Se guardiamo all'Europa e al Giappone, la situazione è ancora peggiore».
Qual è lo scenario più probabile per gli ultimi mesi dell'anno?
«Come sapete la stima del secondo trimestre è stata rivista al ribasso (1,6% da 2,4, ndr) e così la crescita nella prima metà dell'anno è stata inferiore a quanto si aspettava anche il più pessimista degli economisti. Nel trimestre in corso abbiamo valutato che non si andrà oltre 1' 1%, e altrettanto nell'ultimo. Nella media annua quindi si starà sotto l'1,5 contro un potenziale del 3%, e per il 2011 l'andamento sarà analogo. E' l'equivalente di una recessione, quella che si chiama una "velocità di stallo". Se va avanti così ci vorranno 5 anni per riassorbire la disoccupazione. E l'Europa non sta meglio».
Il Washington Post rivela che Obama è pronto ai prossimo pacchetto di stimoli fiscali. E' una prospettiva credibile?
«Intanto, l'anno scorso si discuteva se varare un piano da 7 o 800 miliardi, e poi si è andati a finire su questa seconda ipotesi. Durante la crisi, gli Usa hanno assunto impegni per 10mila miliardi fra supporti di liquidità, garanzie, assicurazioni, ricapitalizzazioni, e ne hanno materialmente spesi oltre 3mila. Bene, ora si sta discutendo da sei mesi su un intervento da 20 o 30 miliardi di dollari, che saranno assorbiti dai sussidi di disoccupazione. La verità è che l'America non ha più armi per combattere questa crisi né può più permettersi impegni finanziari perché il deficit è schizzato a 1.500 miliardi di dollari, quasi il 20% del Pil contro il 10% ante-crisi. E' un livello insostenibile per qualsiasi economia. Sarebbe accettabile un nuovo piano di incentivi solo se si realizzare parallelamente un forte aumento delle tasse».
Sarà possibile?
«Macché, tutt'al più ci saranno poco più di 200 miliardi derivanti dalla scadenza degli abbattimenti fiscali intrapresi da Bush fra il 2001 e il 2003. Ma un organico incremento delle imposte, che renderebbe possibile nuovi progetti di stimolo, ha bisogno per essere approvato di una solidissima maggioranza parlamentare, quale Obama non ha più».
Per ora ce l'ancora.
«È impossibile nei due mesi che ci separano dalle elezioni di medio termine attuare un progetto di tale portata politica. Dopodiché, i democratici dovrebbero perdere la maggioranza alla Camera e probabilmente anche al Senato. Si aprirà un periodo difficilissimo per l'amministrazione, in cui sarà complesso intraprendere ogni misura rilevante. E così arriveremo al 2012, anno delle presidenziali, in un clima di incertezza».
Neanche la conclusione della guerra in Iraq porterà benefici?
«Marginali perché aumenta l'impegno in Afghanistan. Però c'è almeno una tendenza favorevole: con Bush qualsiasi progetto per la costruzione di nuove armi passava in un attimo, ora per fortuna non è più così».

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