Int. a Mercedes Bresso - Bresso: ricorso anti Cota. So di poter vincere. Il Pd? In Piemonte è finito

Dalla Rassegna stampa

«Ognuno usa le armi che ha. Io vado avanti, anche da sola». La voce, al solito, è decisa. Ma questa volta è difficile non pensare a Mercedes Bresso come all’ultimo giapponese, in trincea a guerra finita.
Elezioni regionali da rifare, dice l’ex governatore del Piemonte, sconfitta a sorpresa da Roberto Cota. È pronto un ricorso al Tar, che denuncia irregolarità nella presentazione di alcune liste collegate al candidato leghista. L’ex zarina va per conto suo anche in Regione, e crea due gruppi autonomi da quello del Pd, mossa che preannuncia uno scontro in famiglia e pare aumenti i costi della politica (ogni gruppo ha diritto a un rimborso). All’interno del Pd le reazioni a queste mosse vanno da un silenzio ghiacciato a un dissenso esplicito. L’altra punta del centrosinistra piemontese, Sergio Chiamparino, reduce dalla crociata di Intesa-San Paolo, accusa intanto il Pd di essere succube dei «poteri forti». Possibile che questi sussulti in una delle regioni-vetrina del centrosinistra siano solo il segno di una stagione che si va chiudendo. Ma le implosioni non sono mai un bello spettacolo.

Bresso, il ricorso è proprio necessario?

«Non solo. E anche legittimo. Un diritto costituzionale. Ho avvocati di primo livello, convinti che vi siano gli elementi per andare al Tar e vincere».

Le hanno anche detto che bisogna accettare le sconfitte?
«A quello ci arrivo da sola, grazie. Ma queste elezioni sono state taroccate dall’inizio alla fine. Un esempio? Cota 41 volte sulle reti nazionali, io una sola. In questo Paese la democrazia sostanziale non esiste più. Io mi difendo come posso».

Nel suo partito l’entusiasmo per l’iniziativa è palpabile...
«Ho informato il Pd. I vertici regionali si sono detti d’accordo. Se lo sono per modo di dire, è un problema loro. Io combatto. Il candidato ero io, e decido io cosa fare».

E se qualcuno osa dissentire?
«Significa che ignora cosa sia la vera politica..Ce ne sono tanti, purtroppo. Il quadro d’insieme del Pd piemontese è desolante, me ne rendo conto. Ma il partito deve avere il coraggio di guardare in faccia la realtà».

Quale?
«Abbiamo perso di pochissimo, per colpa di liste truffa che copiavano le nostre e ci hanno rubato un pacchetto di voti ben superiore allo scarto tra me e Cota. Se qualcuno non vuole seguirmi in questa battaglia, chiedete conto a lui. Io rispondo al milione di persone che mi ha scelto».

A Roma che ne pensano?
«Ho chiesto appuntamento a Bersani. Mi ascolterà».

Cosa sta succedendo nel Pd piemontese?
«Forse siamo davvero alla fine di una generazione, la mia e quella di Sergio Chiamparino, che è arrivata a governare le istituzioni locali dopo il terremoto di Tangentopoli. Forse abbiamo esaurito un ciclo».

Cosa resta?
«Non molto. Il Pd piemontese si sta sfaldando. Credo che i militanti siano con me, come lo sono stati in campagna elettorale. Ma all’interno del partito ci sono troppi cacicchi che si occupano esclusivamente della propria sopravvivenza».

Solo perché non la seguono nella sua battaglia?
«Io ho passato più di metà della mia vita politica all’opposizione. Sono pronta a farla, so come si fa. Questo ricorso è un modo per far valere i propri diritti, garantiti dalla Costituzione».

Come spiega la creazione di due gruppi che fanno riferimento a lei?
«Rappresentano liste che hanno ottenuto un milione di voti».

E un costo aggiuntivo per il contribuente.
«Questa è retorica, proveniente da fuoco amico. Abbiamo fatto i calcoli: sono 70-80 mila euro in più. Per uno strumento necessario a tenere insieme l’opposizione».

Non c’era già il gruppo del Pd?
«Evidentemente non basta. Il nuovo regolamento è più restrittivo dei precedenti: adesso servono più gruppi».

La vicenda Chiamparino?
«Forse è stato informato male. Oppure ha cercato di fare un’operazione senza essere sicuro del suo esito. Comunque non ci ha fatto una bella figura».

Lei avrebbe sostenuto la candidatura di Siniscalco?
«Non è una questione di nomi. Salza, Beltratti, Siniscalco: tutta gente di grande spessore. Ma le banche non devono fare politica, e viceversa. Forse senza volerlo, ma Sergio ha comunicato l’idea di un centrosinistra che si occupa più delle banche che dei problemi reali del Paese».

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