Int. a I. Marino - "Pd, Bersani deve essere meno timido"

Dalla Rassegna stampa

Bersani deve liberarsi dalla timidezza che sta caratterizzando la sua segreteria». E ancora: «Se Pier Luigi continuerà a essere ostaggio di tutte le correnti interne, per il Pd sarà impossibile costruire l’identità che ancora gli manca». Così parla Ignazio Marino, che affida al Riformista la sua analisi su un partito «che ancora non è decollato».

Per Michele Salvati il Pd è «un partito della Prima Repubblica». Marino, lei condivide questa diagnosi?
E’ vero che il Pd è nato come la straordinaria intuizione di raccogliere il meglio delle culture politiche del secolo scorso, il socialismo e il cattolicesimo democratico. Putroppo è altrettanto vero che non siamo riusciti a fare grandi passi in avanti. Al Partito democratico, infatti, mancano ancora sia un’identità sia una mission.

Per questo ha perso le elezioni?
Vede, se noi fermassimo per strada dieci cittadini che seguono la politica e gli chiedessimo quali sono state le tre priorità di Barack Obama, nessuno avrebbe dubbi: la sanità, le misure contro la crisi economica e la politica estera. Se alle stesse persone chiedessimo invece quali sono le tre priorità del Pd, tutti darebbero risposte diverse.

Forse Obama è un termine di paragone troppo ingombrante, anche per il Pd...
L’esempio che ho fatto dimostra che il Pd non ha un’identità netta e riconoscibile. La gente non sa bene chi siamo né dove vogliamo andare. E di conseguenza...

...non vi vota.
Bersani dice che dobbiamo essere il partito del lavoro, giusto? Bene. Ma lui stesso, una volta vinto il congresso, aveva promesso che in tempi rapidissimi avremmo avuto una posizione comune e innovativa su queste questioni. Putroppo non l’ha fatto. E il risultato è che, al- le riunioni del coordinamento del Pd, si siedono persone che si trincerano dietro l’articolo 18 e lo Statuto dei lavoratori insieme ad altre che insistono sulla flex security.

Una babele, insomma.
Nell’area che ha sostenuto la mia candidatura al congresso almeno si discute: abbiamo aperto anche un sito interne (www.cambialitalia.it) in cui cerchiamo di elaborare proposte che tengano insieme le grandi conquiste del sindacato con la necessità di tutelare anche chi non ha il posto fisso.

Non vorrà dare tutta la colpa a Bersani?
No. Ma sono convinto che Pier Luigi debba liberarsi dalla timidezza che sta caratterizzando la sua segreteria e togliersi dall’abbraccio delle correnti.

Altrimenti, si comincia la ricerca dell’ennesimo leader?
Bersani ha vinto democraticamente il congresso e ha anche le qualità per fare il segretario del Pd. A patto che, ripeto, si liberi dalle correnti. Quando al leader del 2013, abbiamo ancora tre anni davanti. Meglio partire dal programma e, sulla base di questi, trovare un candidato premier.

In molti, anche dentro il Pd, invitano il gruppo dirigente a seguire il «medoto Lega». La chiarezza, prima di tutto.
La Lega ha vinto perché, a ragione o a torto, riesce a comunicare delle idee che piacciono agli elettori. A Roma Zaia ha avallato il piano del governo per la costruzione di nuove centrali nucleari, tra cui una dovrebbe sorgere in Veneto. In Veneto, lo stesso Zaia ha detto un «no» al nucleare. E tra le due posizioni è emersa soltanto la prima.

Crede che il Pd, nella campagna elettorale delle regionali, abbia sbagliato strategia?
Sbagliamo nel metodo, spesso. In Piemonte il partito ha fatto commissariare i circoli della Val di Susa. E’ stato commesso un sopruso, insomma, e gli elettori di quelle zone hanno premiato le liste di Grillo.

Dentro il partito c’è chi ha criticato la scelta di candidare, tanto per fare un esempio, la Bonino nel Lazio...
Per quanto mi riguarda la Bonino, al pari della Bresso, era la candidatura giusta. Gli errori veri li abbiamo commessi evitando il rinnovamento, soprattutto in Calabria e Campania.

Berlusconi e Bossi sembrano intenzionati a inaugurare la stagione delle riforme. Il Pd deve sedersi al tavolo?
Le riforme che ha in testa Berlusconi sono quelle che possono consentirgli l’immunità e il presidenzialismo fatto su sua misura. Se lo scenario è questo, credo che la risposta dev’essere «opposizione netta». Sia in Parlamento che in piazza.

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