Int. a M. Onofri - Meglio scrittore engagè che lagnarsi sull'Aventino

Dalla Rassegna stampa

E Massimo Onofri è un critico letterario di quella generazione che si è affermata a partire dai primi anni '90 (Silvio Perrella, Amaldo Colasanti, Emanuele Trevi e Filippo La Porta). Il suo primo libro, un saggio su Leonardo Sciascia (Storia di Sciascia, 1994), lo segnalò come un italianista di rango. Ma la vera svolta mediatica si ebbe l`anno successivo, quando per la rimpianta casa editrice Theoria pubblicò il pamphlet polemico Ingrati maestri, con il quale si scagliava contro mostri sacri della critica come Gianfranco Contini (il titolo del capitolo dedicato al grande filologo era Dimenticare Contini).
Nell'arco di un quindicennio Onofri ha fatto molte cose: è diventato docente di critica letteraria e di letteratura italiana all`università di Sassari, ha curato e introdotto molti classici (Pirandello, Borgese, Brancati, Sciascia, Consolo), ha svolto una infaticabile militanza critica su quotidiani quali L'Unità, Avvenire, La Stampa e Nuovi Argomenti, e ha scritto vari altri libri (ricordo almeno le due serie dei Sensi vietati, raccolta di articoli eretici su temi di società e costume, e poi Il canone letterario, La modernità infelice e Recensire. Istruzioni per l'uso, tutti pubblicati con editori di ricerca e di militanza quali Gaffi, Laterza, Donzelli e Avagliano). L'ultimo, bellissimo libro di Massimo Onofri è invece Il suicidio del socialismo (Donzelli, 154 pagine, 19,00 euro), incalzante inchiesta sul suicidio di Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore dell'arcinoto affresco socialista intitolato Quarto Stato. Pellizza da Volpedo termina il suo affresco nel 1901. Eppure sei anni dopo, nel 1907, decide di togliersi la vita. Onofri indaga il nesso tra il suicidio del pittore e il suicidio (di là da venire) del socialismo tutto.
Ora però da qualche settimana, al curriculum di Massimo Onofri bisogna aggiungere un nuovo capitolo, quello politico, ché lo studioso e critico viterbese ha accettato di candidarsi, come capolista a Viterbo della Lista Bonino, nelle imminenti elezioni regionali. E' una notizia interessante; anzi, potremmo dire che è uno dei primi impegni elettorali di un intellettuale italiano ai tempi del federalismo regionalistico (dopo Levi, Arbasino e Ginzburg al Parlamento, ora agli intellettuali tocca accontentarsi dei meno reboanti e più faticosi consigli regionali. Altro caso interessante di questa tornata elettorale è infatti la candidatura in Puglia, fortemente voluta da Nichi Vendola, dello scrittore Raffaele Nigro, capolista della Sel). Ecco cosa afferma Onofri al Riformista a proposito dell'impegno degli intellettuali in politica: «Ho sempre guardato con diffidenza la figura dell'intellettuale impegnato o ingaggiato, epperò, da sciasciano ortodosso (mi è lecito l'ossimoro?) ho sempre creduto che uno scrittore è anche un cittadino e che - avendo un rapporto speciale con le parole in un'epoca di grandi mistificazioni e menzogne, di un uso distorto del linguaggio - dovrebbe avere aggiuntive responsabilità, rispetto agli altri. E badi: non sto parlando della rivoluzione o del sogno dell`uomo nuovo, che è stato il lascito più puerile, con coda di tragedie, del secolo appena trascorso. Né parlo della letteratura e dei suoi eventuali obblighi - in qualche caso davvero risibili - di denuncia sociale. Parlo dei letterati, che sono prima di tutto uomini in rapporto con altri uomini. Parlo di un'idea non maiuscola della politica, ma del suo aspetto di buon governo e buona amministrazione, non legata all'ideologia, ma auna concezione della vita e del mondo, questo sì.
Ci sono dei momenti in cui ritirarsi sull'Aventino potrebbe essere il rischio più grande e la colpa più grave, non solo per gli uomini di lettere. L'attuale è uno di questi momenti. Credo sia necessario testimoniare e insieme immaginare un'idea diversa della politica. Aggiungerò poi che ho sempre trovato le anime belle un evidente esempio di bruttezza etica e civile, forme di pilatismo estetizzante e di imbarazzante vanità e narcisismo. Ce ne sono tante in questo paese disgraziato».
Quello di Onofri è anche un impegno contro le anime belle e i lei terati pilateschi. Ma com'è nata questa candidatura viterbese? Risponde Onofri: «Ho deciso di accettare la proposta del segretario nazionale dei radicali Staderini su sollecitazione degli amici viterbesi. Nel nome del mai troppo rimpianto Leonardo Sciascia, maestro mio e loro - dei radicali -- su cui ho scritto tre interi libri e molti saggi». Onofri si definisce un socialista libertario, affatto avverso agli uomini di Chiesa: «Sono un socialista libertario che crede nel nesso inscindibile di giustizia e libertà. Prediligere l'una a scapito dell'altra come hanno fatto capitalismo e comunismo, i due totem del secolo appena trascorso, o ignorarle entrambe, come invece ha fatto il nazi fascismo, è all'origine di molte delle tragedie che l'hanno attraversato.
Lascio invece l`anticlericalismo ai nevrotici e agli insicuri, ai fanatici e agli intolleranti. Ho avuto sempre grande rispetto e curiosità per gli uomini di Chiesa, proprio perché così lontani da me. Del resto sono un laico che credo nel sistema cristiano dei valori». Massimo Onofri sta facendo una campagna elettorale in povertà, sfidando politici di professione di lungo corso e avendo come volontari sul territorio soltanto i suoi ex alunni dell'Itc di Vetralla: «La politica dovrebbe essere solo una piccola parte della vita e non la più importante. La politica non ci salva la vita, ma noi possiamo salvare la politica, soprattutto se sta così male. Un'implosione della politica non gioverebbe a nessuno. E sarebbe la fine di questo paese già agonizzante. Sto vedendo grande entusiasmo intorno a me. Quasi cento allievi dell'Itc di Vetralla, dove ho insegnato dieci anni prima di andare all'università di Sassari, si sono messi a disposizione attraverso Facebook. E anche le loro madri. Ho chiesto il perché di tutta questa grazia. "Non possiamo dimenticare quello che hai fatto per i nostri figli", mi hanno risposto. Questa per me è la vera e unica vittoria. Sa quanto ho speso finora per la campagna elettorale? 100 euro. E ne spenderò altre 100. Per i bigliettini da dare agli amici in difficoltà. I miei competitori spenderanno invece tra i 50.000 e i 70.000 euro. Devo aggiungere altro?».
Onofri vede nel confronto elettorale laziale più concordia che altrove, e immagina il suo impegno politico futuro come un disinteressato servizio delle competenze: «Nel Lazio il confronto mi pare meno avvelenato che altrove. Dipende dal fàtto che si affrontano due donne serie e preparate. Spero che il confronto rimanga sempre sui programmi. Per quanto riguarda la durata di un mio impegno politico, dico che un giro basterebbe. Con spirito di servizio. Non potrei stare a lungo lontano dall'insegnamento. Comunque non si può mai dire: ed è arrogante ipotecare il futuro come se potessimo controllarlo. Magari mi potrebbe piacere. Mai dire mai. Se venissi eletto mi piacerebbe occuparmi di quello che so fare: scuola, università, cultura. E mettermi a disposizione dei viterbesi che andrei a rappresentare. Nessuna vita di partito. Lavoro duro e costante in consiglio regionale. E, soprattutto, non mancare ma a nessuna seduta».
Ma per quanto Massimo Onofri sia lontano dai veleni di questa campagna elettorale, alla fine, parlando della Bonino, dei suoi punti di forza, non riesce a dissimulare una vena polemica degna dei suoi scritti critici più caustici: «Scegliere la Bonino significa scegliere la cultura della legalità e della trasparenza. La cultura del fare e della competenza. La serietà, l'onestà e il disinteresse. In gloria di un'idea della politica come civiltà». Riuscirà davvero il critico militante Massimo Onofri a portare un po` dei suoi sensi vietati nel bailamme della Pisana? Si può davvero vincere una campagna elettorale spendendo appena qualche centinaio di euro? Lo vedremo fra qualche giorno.

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