Int. a M. Giustiniani – Solo in Italia vincoli così rigidi

Licenziamenti facili? «Non in assoluto, li chiamerei licenziamenti più facili, ma con assunzioni più facili». La chiosa lessicale dell'avvocato Marcello Giustiniani inquadra in sintesi i1 problema dell'interruzione del rapporto di lavoro per motivi economici. Giuslavorista dello studio Bonelli, Erede e Pappalardo (tra l'altro ha curato la trattativa di buonuscita da Unicredit per conto di Alessandro Profumo), Giustiniani analizza gli scenari potenziali legati all'attuazione della riforma indicata nella lettera alla Ue.
«Per capire», spiega l'avvocato, bisogna tornare alla missiva -inviata dalla Bee l'agosto scorso, nella quale si chiedeva all'Italia di poter derogare ai contratti nazionali e di introdurre una maggiore flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti, con tutele parallele per i disoccupati. Il risultato finale non deve aver soddisfatto se adesso l'Europa è tornata a formulare una nuova richiesta. «Il messaggio di Bruxelles è chiaro: non è possibile delegare alla contrattazione», spiega l'avvocato.
Serve in sostanza una normativa che allinei l'Italia ai contesti internazionali. In Gran Bretagna, Francia e Germania è possibile il licenziamento per ragioni economiche ma con un preavviso rispettivamente da una a dodici settimane nel primo caso, di tre mesi nel secondo, e da uno a sette mesi per le aziende tedesche. Il principio di libertà di licenziamento è il cardine della legge americana che prevede eccezioni solo in caso di rischi per l'ordine pubblico, ma solo per alcuni Stati in caso di rescissione illegittima è previsto il risarcimento mentre il reintegro è contemplato solo in rarissimi casi.
E da noi cosa potrebbe succedere ora? Tre i possibili scenari, tanti quanti i disegni di legge in materia pendenti in Parlamento. Il primo è quello presentato l'11 novembre 2009 dal senatore Pietro Ichino. La formula è «Flex Security», che prende spunto dal sistema danese, e conferisce all'impresa il diritto di sostituire il reintegro in caso di licenziamento illegittimo con un'indennità economica, opzione che oggi è esercitabile solo dal lavoratore. Si esplica con sorta dì maxi sussidio che arriva al 90% della retribuzione al primo anno, 80% al secondo, e 70% al terzo, e scadenza variabile a seconda dell'anzianità di servizio. «Questo - prosegue Giustiniani - è l'unico disegno che fornisce una risposta organica al problema».
La seconda proposta è lo «Statuto dei lavori» presentato un anno fa dal ministro Maurizio Sacconi attraverso una legge delega che traccia linee guida per emanare decreti con finalità specifiche. Punta a «razionalizzare e semplificare riducendo almeno del 50% la normativa vigente, anche mediante abrogazione oltre a identificare un nucleo di principi universali applicabili a tutti i rapporti». «Un intervento da guardia forestale - sferza l'avvocato - si prende l'accetta e di 10 piante ne lasciamo in piedi 5. Manca una disciplina analitica».
Da poco tempo c'è un terzo «ddl», del radicale Marco Beltrandi, che propone di alzare la soglia di applicazione della reintegrazione dalla cosiddetta tutela reale da 15 a 30 dipendenti, numero entro il quale l'impresa può scegliere tra reintegro o indennità in caso di licenziamento illegittimo. «Così - dice l'avvocato - ci sarebbe un importante allargamento dell'ambito di applicazione di un regime più flessibile».
Dinanzi a questi scenari cosa potrebbe succedere? «Dipenderà molto dalla sorte del governo. Se sarà l'esecutivo in carica a decidere è difficile pensare che si parta da una proposta dell'opposizione, mentre la seconda ipotesi richiede una forza e un coraggio che ora mancano. La terza soluzione pur essendo minimale potrebbe essere quella che equilibra costi benefici anche perché l'opposizione delle parti sociali sarebbe più contenuta visto che le grandi imprese sarebbero esonerate da cambiamenti». Diverso lo scenario con un governo tecnico o di convergenze: «Si potrebbe persino provare a fondere le tre ipotesi in maniera organica». Ma in ogni caso non ci sarà un ricarico sui conti pubblici? «Sì certo, ma è verosimile che nel caso in cui si rendesse più flessibile il trattamento in uscita e quindi il ricorso agli ammortizzatori, che peraltro già esistono, le aziende assumerebbero di più. È questa la scommessa: licenziamenti più facili ma assunzioni più facili».
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