Int. a M. Bordin- "La strada è in salita, ma si può vincere"

Dalla Rassegna stampa

I diritti umani «sono uno strumento che potrebbe rendere più conveniente il rapporto fra gli Stati, persino dal punto di vista economico». Lo spiega a liberal Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale. 

Direttore, perché in Italia non si trova più spazio per i diritti umani? 
Perché la sensibilità dell’informazione è rivolta verso problemi diplomatici e bellici. E i diritti umani, politici e del singolo sono messi in secondo piano. Ci sono anche delle ragioni di realpolitik, dietro a questo stato di cose: due esempi macroscopici di questa affermazione sono l’attenzione nei confronti della politica di Gheddafi e di Putin da parte del governo e dei principali enti energetici di Stato ha un riflesso anche sulla qualità dell’informazione rispetto ai diritti umani. Bisogna poi tenere conto anche di un problema vecchissimo: ovvero di quanto le politiche energetiche abbiano in Occidente un riflesso molto pesante sull’informazione. 

Però, quando il nemico era l’Urss, c’era più attenzione per i dissidenti... 
Questo è vero solo in parte. In realtà, noi facciamo degli sconti alla memoria che a volte sono singolari: nel 1977 ci fu uno sciopero indetto dai portuali di Venezia contro la Biennale, che quell’anno era dedicata al dissenso nei Paesi dell’Est sovietico. La risposta a questa manifestazione fu uno sciopero della Cgil e l’ostracismo della intellettualità d’elite italiana. Quindi è vero che c’era maggiore attenzione da parte dei governi, ma che ci fosse all’epoca un’egemonia della cultura dei diritti è meno giusto. In realtà anche allora vigeva il sostanzialismo. Il problema è purtroppo complicato: certo, oggi lo è di più perché non esiste più nulla di quello che c’era; c’è semplicemente un tipo di realpolitik molto più onnicomprensiva, che lascia ancora meno spazio al dissenso. 

Ma alzare la voce con i regimi non aiuterebbe anche sul piano economico? 
Sono completamente d’accordo. Vediamo le cose dalla nostra angolazione: io prima facevo l’esempio del problema energetico e da questo punto di vista, in fondo, le stesse tradizioni dell’Eni sono tradizione di una impresa commerciale e statale che ha avuto un che di progressivo, non solo per il nostro Paese ma anche per quelli del Terzo Mondo. Nel solco di quella tradizione, oggi, centrare il problema sui diritti umani potrebbe essere una scelta "aziendalmente conveniente", oltre che politicamente rilevante. 

Le battaglie di Radio Radicale per i diritti umani sono famose. Come si porta avanti questa guerra? 
Io non voglio medaglie che non mi spettano: le battaglie per i diritti le fanno i radicali, nell’ambito del Partito radicale transnazionale. Noi cerchiamo di sostenerle al meglio. Certo, dal punto di vista dell’azione politica qualche successo lo abbiamo ottenuto: la moratoria sulla pena di morte, ad esempio. Che è sicuramente un atto simbolico ma che è riuscita, se non a fermare, quanto meno a frenare le esecuzioni. Altro aspetto importante è quello di avere un’attenzione non solo per il caso emblematico,  ma cercare di mostrare anche i casi più nascosti. Alcuni giorni fa abbiamo fatto un programma dedicato alle elezioni presidenziali in Egitto: sui nostri giornali non si trovano non dico titoli, ma nemmeno righe sull’argomento. Il fatto che ci sia un signore, in quel Paese, che ha raccolto l’invito di ElBaradei sull’alleanza per il progresso; ha cercato di metterlo in pratica nel suo villaggio di una sperduta regione del Paese; sia stato fermato e torturato; ora sia in sciopero della fame non si trova da nessuna parte. Questo piccolo caso - che per l’interessato non è piccolo per niente - riflette la situazione attuale. Questo è il modo con cui ci si deve porre rispetto ai diritti politici, che poi diventano diritti umani. E’ proprio questa mutazione è l’altro passo che si deve fare: la possibilità di vedere il diritto politico di esprimersi, di votare in elezioni libere e di candidarsi, come un diritto umano. 

Dobbiamo rassegnarci a questa indifferenza? 
Mai rassegnarsi. Se uno pensa a quello che era il diritto internazionale 20 anni fa, e quello che è oggi, si vede l’evoluzione della definizione proprio dei temi collegati alla libertà. Il percorso non è regressivo ma progressivo, almeno per quanto riguarda i diritti costituiti. Per quanto riguarda l’applicazione, è meglio lasciar perdere.

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