Int. a E. Letta/S. Ceccanti - Moriremo liberali o socialdemocratici?

Dalla Rassegna stampa

Era il giorno della nascita ufficiale del Partito democratico, il giorno dell’assemblea costituente, quando arrivava la notizia della morte di Pietro Scoppola. Cinque anni fa. E del “suo” Pd «Scoppola oggi sarebbe al tempo stesso soddisfatto e fustigatore – ci racconta Enrico Letta –. Era l’uomo del “già e non ancora”, spostava sempre il traguardo più in là». Abbiamo parlato con quattro parlamentari dem che hanno conosciuto Scoppola dai primi anni Ottanta per provare a guardare al Pd di oggi, il Pd di Bersani e della successione al governo Monti, attraverso gli occhi dello storico.

Il sindacato conservatore
Un partito ormai socialdemocratico, si legge spesso in queste settimane. E per Scoppola la socialdemocrazia non è mai stata un obiettivo a cui tendere. Perché la socialdemocrazia, come anche la democrazia cristiana, ha la colpa di un aver dato vita a governi troppo centralisti, costruiti sull’alleanza tra la burocrazia di stato e le “corporazioni”, dagli ordini professionali al sindacato. Spiega Giorgio Tonini: «Scoppola aveva fatto in tempo a cogliere la degenerazione corporativa e in fin dei conti conservatrice del sindacato, soprattutto nel pubblico impiego ». «Nell’indebolimento generale delle strutture di partito – prosegue Stefano Ceccanti – il sindacato può diventare una forza che trascina il Pd sulle sue posizioni. Non è il lessico di Scoppola, ma lui ci invitava a fare cose abbastanza simili a quelle della Terza via, ad avere un rapporto dialettico col sindacato come il Labour o la Spd».

Dossetti, adieu
Scoppola, riprende Tonini, «non era un liberista, credeva nell’intervento positivo dello stato per livellare le disuguaglianze e regolamentare il mercato». Aveva ragione quindi Giuseppe Dossetti a dire che non bisogna «avere paura dello stato». Ceccanti commenta che «nella cultura cattolico-liberale non esiste la visione della Chiesa come società perfetta, che deve subire lo stato come un’imposizione solo negativa, ma proprio perché dello stato si dà una visione parziale, non totale». Lo stato, e qui Scoppola rifiuta Dossetti, «non ha il monopolio del bene comune». In una parte del Pd – aggiunge Ceccanti – l’idea dossettiana dello stato che «crea» la società sembra ancora prevalente. Ma allora Scoppola stava dalla parte dello stato o da quella del mercato? In uno dei suoi libri più appassionati, La «nuova cristianità» perduta del 1985, lo storico ha scritto che il colpo più duro alla fede cattolica, nel dopoguerra, è arrivato «alle spalle »: non dal comunismo, ma dalla società dei consumi. Nello stesso volume però, ricorda ancora Ceccanti, lo storico segnala il rischio che con l’incontro tra cattolici e comunisti «si mettano insieme due avversari del moderno»: una convergenza dal sapore radicale e anti-capitalista «è quanto di più lontano dalla visione di Scoppola del Partito democratico».

Il Pd delle liberalizzazioni
Anche per questo, prosegue Ceccanti, un tema come quello delle liberalizzazioni deve rimanere centrale: «Il Bersani liberalizzatore è certamente più vicino a Scoppola di pezzi della sinistra cattolica che hanno un’interpretazione decisamente più statalista». È un equilibrio difficile: da un lato c’è lo stato factotum, che finisce ostaggio delle clientele; dall’altro la società dell’individuo-consumatore, con la scomparsa dei corpi intermedi. Il Pd è in grado di seguire la strada segnata da Scoppola? Per Letta: «il Pd di Bersani è un partito della società aperta, dei diritti del consumatore e della lotta alle corporazioni. Questo non toglie che la società abbia dei punti cardinali: il mondo della rappresentanza, delle relazioni corte, dell’associazionismo. Altrimenti l’individuo resta solo in una società nuclearizzata».

Le associazioni e il partito leggero
Il rapporto tra associazionismo cattolico e Pd, però, non attraversa un periodo facile: «La Cisl, le Acli, pezzi della nostra constituency si sono rivolti altrove », dice Ceccanti. Un dato che Scoppola avrebbe colto «con preoccupazione». Meno preoccupato David Sassoli, perché «la pluralità di scelte politiche del mondo cattolico non può riportarci a vecchi schemi: Scoppola è stato anche un critico acuto dell’unità politica dei cattolici». Non è tempo, insomma, di nuove Dc. In ogni caso – ancora Tonini – per dialogare con la società civile servono «partiti aperti e leggeri»: «Scoppola ha sempre avuto un’idea degasperiana del partito, uno strumento a disposizione di personalità della società civile». Solo così è possibile evitare «la deriva partitocratica».

Temi etici, com’è difficile mediare
«Anche in Europa – parla Sassoli, di ritorno da Bruxelles – molti partiti socialdemocratici sentono il bisogno di aprirsi a esperienze diverse, al mondo cattolico, a quello ambientalista». Che succede però quando c’è da decidere sulle questioni che più dividono i cattolici dai non cattolici? La strada indicata da Scoppola è sempre stata quella della mediazione. Anche su un tema come l’aborto fece il possibile per trovare un accordo in parlamento che evitasse il referendum. E sulla procreazione assistita, ci racconta Tonini, «aveva maturato un atteggiamento molto prudente: temeva il bipolarismo etico, la contrapposizione tra una destra religiosa e una sinistra laicista. Insisteva sulla necessità nel Pd di una presenza cattolica autonoma rispetto al pensiero della sinistra laica, certo con lo sforzo di mediazione ma senza nessun cedimento». È la linea del «primato della coscienza» – Sassoli la sintetizza così – che non vuol dire «mettersi in una posizione guerresca, ma tenere alta l’asticella del confronto. Se lo si fa, i punti di incontro emergono spontanei». Del resto, ci dice Letta, bisogna capirsi su cosa si intende per temi sensibili: «Esistono temi che riguardano più il welfare, come il riconoscimento delle coppie di fatto», su cui oggi si è trovata un’ampia convergenza. Il Pd ha scelto di distinguere tra gli uni e gli altri, per «lasciare spazio ai temi sensibili “veri”, quelli per cui è bene che la politica si fermi e la coscienza di ognuno venga rispettata». Il vicesegretario democratico la chiama «una scelta di concretezza». Che forse sarebbe piaciuta anche a un degasperiano come Scoppola.

 

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