Int. a G. Zampini - "Ansaldo in pole per il nucleare"

Ingegnere, pronto a scommettere sul 2012?
Più che di scommessa, parlerei di una ragionevole previsione. Il nostro governo ha più volte ribadito l’obiettivo di posare la prima pietra nel 2013, vale dire entro la fine di questa legislatura. Mi sembra realistico, di conseguenza, che il primo ordine possa perfezionarsi un anno prima. Ansaldo Nucleare, finora attiva in giro per il mondo, dovrà farsi trovare pronta all’appuntamento con il mercato domestico. Abbiamo già previsto che le nostre risorse umane raddoppieranno nell’arco di tre-cinque anni: dagli attuali 200 addetti a non meno di 400.
A proposito, ingegnere, come siamo messi in Italia nella formazione di nuove leve per il nucleare?
Sulla scorta degli ultimi dati disponibili, quelli relativi al 2009, dalle nostre Università non sono usciti più di 100-150 neolaureati da destinare al settore. Ma è confortante il quadro delle competenze disciplinari all’interno dei nostri atenei. Esistono, eccome, anche se sono limitate ad alcune Università: Torino, Milano, Genova, Roma e Pisa. E, anche attraverso il riavvio a pieni giri della cinghia di trasmissione fra il mondo della formazione e quello dell’industria, Ansaldo può candidarsi a diventare un polo di riferimento e di aggregazione tecnologica in grado di attrarre numerose imprese italiane. A partìre da quelle che operano nel perimetro di Finmeccanica.
Il nucleare come sinergie di gruppo?
E’ indubbio che le commesse per le nuove centrali possono attivare una serie di attività collaterali in cui sono già presenti le aziende della nostra conglomerata. Penso a Elsag Datamat, che è attiva nei sistemi di controllo, piuttosto che a Selex sistemi integrati, che può vantare una presenza nel campo della radioprotezione in Gran Bretagna. Sinergie che, peraltro, investono anche le partecipazioni estere di Finmeccanica: l’americana Drs, ad esempio, attiva nel monitoraggio peri sommergibili a testata nucleare.
Torniamo agli accordi firmati a Parigi. Ansaldo dovrà rapportarsi alla tecnologia nucleare francese, quella dell’Epr, detenuta dal campione transalpino Areva.
Il nostro obiettivo è mettere a punto un’ingegneria di italianizzazione dell’Epr. E molti, forse, dimenticano che la tecnologia dei francesi non è per noi una materia ignota. È quella che stava alla base del Pwr, il reattore sul quale Ansaldo era impegnata venticinque anni fa, prima del referendum.
Nei rapporti con il partner francese non teme la disparità delle forze in campo: in Areva gli organici sfiorano le 4mila unità, dieci volte quello che sarete voi fra qualche anno...
Ma guardi che i numeri possono diventare più equilibrati se sommiamo la nostra realtà a quella di aziende, come Elsag Datamat o Selex, da coinvolgere nel progetto. A parte i confronti sulle dimensioni, l’aspetto importante è che con i francesi siamo partiti con il piede giusto.
Fugate del tutto le preoccupazioni della vigilia sul rischio di subire una colonizzazione da parte francese?
Il giudizio sugli accordi sottoscritti a Parigi è positivo. Rappresentano un primo passo per risolvere i problemi in uno spirito fattivo di collaborazione fra le parti. Le eventuali difficoltà dovranno essere superate sul terreno dell’operatività.
E gli americani di Westinghouse, vostra alleata e titolare della tecnologia Ap 1000, come reagiranno alla scelta italiana per l’Epr?
Per Ansaldo e per il suo ruolo di attore credibile sul mercato internazionale è essenziale continuare il rapporto con Westinghouse. Con gli americani abbiamo chiarito gli aspetti dei nostri accordi. C’è una volontà di reciproca collaborazione che mi auguro possa sgombrare il campo da fraintendimenti. La
nostra intesa con i francesi è in linea con l’indirizzo espresso, dal Governo. Noi rispondiamo a quelle indicazioni. E, oggi, la committenza che esiste è quella rappresentata dall’Epr. Ma è importante per noi restare ancorati a entrambe le tecnologie.
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