Int. a G. Strada - Lo sfogo di Strada: "E' fallito un altro tentativo di screditarci"

Dalla Rassegna stampa

 

«Ero in macchina tra Roma e Milano quando mi è giunta la notizia della scarcerazione. Dalla mattina presto chiamavo in Afghanistan almeno ogni quarto d’ora. Il tentativo di screditare Emergency è fallito». A fine giornata, Gino Strada, il chirurgo fondatore dell’organizzazione, dopo le telefonate di ringraziamento («con Napolitano, Frattini, Glaetzner, De Mistura») e gli incontri con la stampa, può finalmente festeggiare: «Insieme ad amici che tengono a bada il piccolo leone di quattro mesi (il nipote, ndr) e che ti fanno trovare la cena pronta».

I tre operatori sono stati liberati perché non sussisteva nessuna accusa...
«Nessuna accusa contro di loro e contro Emergency. Sono stati rilasciati da cittadini liberi, liberi anche di decidere cosa fare. Io spero che decidano di prendersi almeno qualche giorno di vacanza prima di tornare a lavoro».

Cosa vi siete detti quando siete riusciti a sentirvi?
«Eravamo tutti contenti. Marco Garatti ha sottolineato che sarebbe rimasto dentro anche sei mesi, pur di dimostrare l’innocenza sua e di Emergency».

E’ stata una settimana dura...
«Nella quale però abbiamo visto una cosa straordinaria: che la stragrande maggioranza degli italiani sta con Emergency, nel senso che ne apprezza la professionalità, la passione e che la considera una ricchezza per il Paese. La manifestazione, credo la prima senza una bandiera di partito, è stata bellissima».

Cosa vi ha fatto più male in questi otto giorni?
«Vedere che c’è gente che per quattro soldi cerca di spandere veleno su Emergency. Sono anche
convinto che non credano in una parola di quello che scrivono e dicono. Lo fanno solo perché qualcuno gli dice di farlo».

Adesso, avete ribadito più volte, vittime della vicenda restano i civili afgani...

«Sì perché chiudere un ospedale è un crimine, un crimine di guerra a esser più precisi. Perché in questo momento la popolazione di quella regione non ha dove farsi curare».

Riaprirete?
«Lo speriamo, perché ci abbiamo messo tante dì quelle risorse e di quella passione in quell’ospedale che l’idea di vederlo chiuso e presidiato dalla polizia mi sembra devastante. Certo dobbiamo verificare le condizioni di sicurezza, perché certamente in Helmand c’è qualcuno che non ci vuole. Dobbiamo capire chi, e creare le condizioni perché personale e pazienti siano al sicuro».

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