Int. a A. Finocchiaro - "Superpoteri e niente controlli: così il premier annienta il confronto"

Dalla Rassegna stampa

 

Anna Finocchiaro scuote la testa di fronte agli attacchi del presidente del Consiglio al Quirinale e alla Consulta.
«Se vengono attaccati gli organi costituzionali e di garanzia, se Berlusconi parla di riforme ma vuole semplicemente un potere senza controlli ed equilibri, se questa è la sua concezione della democrazia e delle istituzioni, allora è difficile pensare a un confronto». Il che non vuol dire, aggiunge però la capogruppo del Pd al Senato, che il partito non debba «discutere e decidere la - dice sottolineando con il tono della voce la singolarità dell’articolo - sua posizione»: «Altrimenti rischiamo di affogare anche noi in questo mare magnum di confusione e mistificazione che viene continuamente alimentato dal governo».

Confusione e mistificazione perché, presidente Finocchiaro?
«Basta pensare all’intervento di Berlusconi al convegno di Confindustria. Ha negato che l’Italia sia in declino, ha presentato un’agenda pretestuosa e velleitaria tutt’altro che ancorata ai dati di fatto. Anche sulle riforme istituzionali regna la confusione, e questo non soltanto per le lacerazioni all’interno della maggioranza».

E per cos’altro, allora?

«Si pronuncia una parola per parlar d’altro, le vere urgenze dell’Italia vengono nascoste, tutto diventa un enorme equivoco. Prendiamo l’esempio della riforma della giustizia. Gli italiani pensano che ci potrà essere una diversa distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, una maggiore informatizzazione e più risorse, tribunali finalmente in grado di esaurire la domanda di giustizia. E invece Berlusconi e il ministro Alfano pensano alla separazione delle carriere, alla non obbligatorietà dell’azione penale, alla riforma del Csm e a chissà cos’altro».

E sulle riforme istituzionali, qual è secondo lei la vera volontà?
«Rafforzare il potere del premier. E conservare una legge elettorale per cui gli eletti sono soltanto alle dipendenze di chi li ha messi in lista. Il che, di conseguenza, significa un indebolimento serissimo del ruolo del Parlamento. Con parlamentari nominati le Camere hanno troppe difficoltà ad essere libere e autonome, e finiscono per essere il luogo di scorreria di un uso eversivo della maggioranza. E così perde il suo carattere, che è quello di essere il cuore di un sistema democratico come il nostro».

Quindi non sarete disposti a discutere un rafforzamento dei poteri del governo se non si modificherà anche la legge elettorale?
«Ma è chiaro. Si può parlare di tutte le riforme costituzionali che si vuole ma fino a quando il Parlamento sarà popolato da persone nominate dai segretari di partito non potrà avere ruolo autonomo e indipendente. I parlamentari, che come dice la Costituzione agiscono senza vincolo di mandato, svolgono un’azione di contrappeso rispetto all’esecutivo. Ma questa funzione è nullificata quando vengono nominati dai leader delle forze politiche».

L’intervento di Berlusconi a Confindustria fa però pensare che non ci sia la volontà di ridimensionare soltanto la funzione del Parlamento, non crede?
«Gli attacchi alla Consulta e alla presidenza della Repubblica mostrano chiaramente quale sia la filosofia che muove la sua volontà riformatrice. Berlusconi ha detto di volere più poteri per il governo ma questo non si misura come dice lui in termini di maggiore capacità di decisione, se è arrivato a contestare il potere di firma dei decreti da parte del Capo dello Stato».

Si è lamentato del fatto che al Quirinale controllano "addirittura gli aggettivi" utilizzati nei testi delle leggi. Secondo lei il premier si riferiva agli aggettivi di una legge in particolare?
«Mi viene da pensare che si riferisse al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche, al passaggio sugli "evidenti indizi di colpevolezza". Il presidente del Consiglio fa finta di non capire che il controllo degli aggettivi allude davvero a una diversa natura, portata e contenuto di una norma».

Al Senato comincerete a discutere quel disegno di legge: secondo lei la maggioranza insisterà perché passi così com’è, aggettivi inclusi?
«Tutti i segnali vanno in questa direzione,purtroppo. Peraltro, se si limitassero a incidere soltanto sul regime della pubblicazione delle intercettazioni noi potremmo anche discutere. Ma la verità è che loro vogliono altro».

E cercheranno di ottenerlo anche a costo di creare tensioni col Quirinale?
«Abbiamo ascoltato Berlusconi, no?».

Se questo è il quadro, che farà il Pd?
«La questione è delicata, anche perché, diciamoci la verità, l’esito delle elezioni regionali ha rafforzato il centrodestra. La mia idea è che noi dovremmo essere innanzitutto in grado di essere pienamente riconoscibili, avendo una parola netta e chiara su ciascuna delle questioni in campo. Alcune delle quali vanno ancora discusse e decise definitivamente».

Definitivamente?
«Se vogliamo efficacemente chiamare il governo alle proprie responsabilità, nelle aule parlamentari ma non solo, dobbiamo anche proporre una nostra agenda molto chiara e puntuale. Altrimenti rischiamo di affogare anche noi in questo mare magnum della confusione e della mistificazione che viene continuamente messo in opera e alimentato dal governo».

Tornando alla platea di Confindustria: saranno stati anche tiepidi con Berlusconi, ma a lui l’hanno applaudito a scena aperta, a Bersani no.
«Noi dobbiamo ancora costruirci come l’alternativa credibile. Ma per esserlo dobbiamo adottare esattamente il metodo opposto a quello seguito fin qui, essere il più chiari e il più coerenti possibile. E soprattutto fare quello che Berlusconi non fa, mettere in agenda le questioni sociali, economiche, del lavoro».

Prodi propone modifiche anche dal punto di vista organizzativo, con un maggior potere ai segretari regionali: che ne pensa?
«Non c’è dubbio che dobbiamo lavorare molto sull’organizzazione del partito perché l’identità e la riconoscibilità del Pd le fanno certamente i dirigenti nazionali ma anche, e fortemente, i partiti regionali. Ma questo non basta. Noi dobbiamo essere attrezzati per affrontare tutte le questioni delicate che ci attendono, non possiamo muoverci avendo fra di noi idee diverse. Quale che sia l’atteggiamento del centrodestra, quali che siano i contenuti espliciti e impliciti di cui Berlusconi parla, noi dovremo avere una nostra posizione molto chiara, che ci renda immediatamente riconoscibili. Discutiamo pure fra noi, ma alla fine definiamo un nostro manifesto per le riforme istituzionali.

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