Int. a F. Adly - La Libia democratica si sceglie il premier. «Sconfitte le Cassandre occidentali»

La nascita del nuovo governo ha incontrato alcuni ostacoli…
La roadmap stilata dal Consiglio nazionale transitorio nel marzo 2011 è stata rispettata pienamente. Il 7 luglio si sono tenute le elezioni per il Congresso. L’8 agosto c’è stato il passaggio di consegne dal Cnt alla nuova assemblea, il primo passaggio democratico della storia libica. Ora sono state presentate otto candidature per la guida del governo.
C’è l’ex premier dello stesso Cnt, Mahmoud Jibril. Ci sono due candidati islamisti. E poi ci sono quelli che io chiamo terzisti. Credo che alla fine, in assenza di un accordo su un nome condiviso, saranno loro ad esprimere il nuovo premier.
All’interno del Congresso 80 deputati sono espressione di partiti, gli altri 120 sono stati eletti come indipendenti. Sono loro i terzisti?
Non è facile definirli, se non per esclusione. Non sono né liberali né islamisti. Si tratta di rappresentanti locali, legati al territorio, uomini delle professioni, medici, ingegneri, personaggi che si sono agganciati al treno della rivoluzione all’ultimo momento.
Sono legati ai clan?
Quella di una società libica fondata sul potere dei clan è la visione tipica di un certo Occidente, che continua a guardare al mio paese con gli “occhiali neri”, utilizzando vecchi schematismi ideologici superati dalla realtà. Se la struttura sociale della Libia fosse basata sui clan, non si comprenderebbe perché l’Alleanza delle forze nazionali di Jibril abbia vinto ovunque. Si è detto: il clan dei Warfalla voterà Jibril, perché è uno dei loro.
È andata così, ma i liberali hanno primeggiato anche in zone in cui erano presenti altre tribù. Hanno conquistato più voti di tutti addirittura a Sabha, nel deserto. L’Alleanza ha vinto in tutte le principali città libiche, tranne a Misurata, dove ha prevalso una lista locale. Si ricorda cosa era successo nella mia Bengasi qualche mese prima del voto?
Si riferisce alla proclamazione dell’autonomia della Cirenaica e ai ripetuti inviti dei “federalisti”a boicottare il voto?
Certo. Ed ha visto come è andata a finire? A Bengasi ha votato l’86 per cento degli aventi diritto, contro una media nazionale del 63 per cento. Questo dimostra che in Occidente ci sono tante false Cassandre.
Non può però negare il ruolo dei leader locali. Li si potrebbe chiamare i “notabili”.
Ci sono personaggi influenti a livello locale. Ma il punto è che i libici non hanno votato secondo le loro supposte appartenenze claniche. Hanno scelto il cambiamento e la ricostruzione. E solo pochi di loro hanno detto che la soluzione è l’islam. La strada è difficile, ma il mio paese si è schierato dalla parte della libertà contro l’oscurantismo. Le elezioni, con la vittoria dell’Alleanza delle forze nazionali, lo hanno dimostrato.
Mi sembra che lei consideri centrale il ruolo di Jibril.
Se non fosse stato per uomini come lui, la crisi libica avrebbe avuto uno sbocco simile a quella siriana, dove si combatte una guerra civile per procura. Fortunatamente Jibril aveva una visione strategica.
Ha posto in maniera corretta la questione della no-fly zone, con il sostegno della Lega araba, evitando al tempo stesso un intervento esterno con truppe di terra. Ha garantito le potenze internazionali e quelle regionali, gli Usa, l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna, la Turchia, promettendo che i loro interessi non sarebbero stati scalfiti. E ha avviato un processo di democratizzazione, stilando un calendario che, fino ad ora, è stato rispettato.
Non c’è democrazia senza stato di diritto. La Libia dovrà affrontare casi giudiziari spinosi, come quelli di Saif al Islam e di Senussi.
Saif e Senussi saranno giudicati in patria, perché il sistema offre sufficienti garanzie. Contrariamente a quello che pensano molti (c’è un conflitto di giurisdizione con la Corte penale internazionale, ndr) in Libia ci sono le condizioni per un processo equo. Personalmente, sono sempre contrario alla pena di morte, ma credo che difficilmente Senussi potrà evitarla. Quanto a Saif, ritengo più probabile una sentenza “politica”, che lo condanni all’ergastolo. Ma si tratta solo di mie impressioni.
Un’altra questione fondamentale è quella della sicurezza.
La sicurezza è il vero problema: non c’è ancora una polizia, né un esercito nazionale. Il governo ha calmierato alcuni beni, per cui spopola il mercato nero. Ci sono molte bande criminali che vivono di contrabbando. Questa è la ragione per cui ci sono frequenti scontri al confine con la Tunisia, e perché il controllo dell’aeroporto di Tripoli è così importante. Un vero esercito e forze di polizia efficaci sono indispensabili, se la Libia vuole percorrere fino in fondo la strada della libertà.
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