Int. a Emma Bonino - «La mobilitazione internazionale sta dando i suoi frutti»

Dalla Rassegna stampa

 

Penso ai molti scettici che continuavano a ripetere che le mobilitazioni non servono, non pagano quando si ha a che fare con regimi autoritari come quello iraniano. Questi seminatori di scetticismo sono serviti: la mobilitazione per Salcineh un primo risultato lo ha ottenuto. Ora però non bisogna mollare la presa. La mobilitazione va rilanciata per ottenere la libertà per Sakineh e per le altre che come lei sono nel braccio della morte in qualche carcere iraniano». A parlare è Emma Bonino, Vicepresidente del Senato e leader radicale.
La condanna alla lapidazione di Mohammadi Ashtiani è stata sospesa...
«E questa è la dimostrazione che in un mondo globale, in un modo o nell'altro l'influenza esterna conta. Ed è importante estendere e rafforzare quanto più possibile questa idea di cittadinanza globale. Mi auguro che i molti scettici che continuavano a ripetere che contro certi regimi la mobilitazione non serve, abbiano imparato la lezione. Però...»
Però?
«Ora non bisogna abbassare la guardia. Ha contato molto la personalizzazione di questa battaglia contro la pena di morte, in qualunque modo essa venga inflitta. Sakineh è divenuta il simbolo di una battaglia di civiltà, quella per l'abolizione della pena di morte, che riguarda tutti quegli uomini e quelle donne che si trovano nei bracci della morte. Questa personalizzazione non deve far dimenticare che in Iran ci sono altre Sakineh, almeno 14, Così come in altre parti nel mondo vi sono uomini e donne "senza volto" pronte per i "boia di Stato"».
Un simbolo che rischia ancora la morte.
«Per questo la mobilitazione non solo non deve venir meno ma al contrario deve essere ampliata, coinvolgendo istituzioni, governi, parlamenti, società civile, opinione pubblica. Siamo solo ad un primo risultato. Importante ma non sufficiente. Come è importante che questo spirito di corresponsabilizzazione e di cittadinanza globale che è emerso nella vicenda di Sakineh permei sempre più la diplomazia e i rapporti tra gli Stati. Occorre fare sinergia: istituzioni, Ong, governi, società civile...».
Sakineh come simbolo abolizionista. A che punto è l'iniziativa per la moratoria della pena di morte?
«A uno snodo cruciale. Come dimostra il recente rapporto di "Nessuno Tocchi Caino", il fronte abolizionista ha conquistato nuovi Paesi. Ma altri, e importanti, ancora resistono. L'Assemblea generale dell'Onu sta discutendo una seconda risoluzione sulla moratoria. Occorre far vivere la vicenda di Salcineh per ciò che essa rappresenta anche a New York».
Cos'altro insegna questa vicenda?
«Che esiste un'alternativa seria, praticabile, al silenzio della realpolitik e alle invocazioni allo scontro frontale con Teheran dei duri e puri. E l'alternativa che come "Non c'è pace senza Giustizia" abbiamo provato a indicare dopo aver ascoltatole donne, i giovani, gli intellettuali, personalità in prima fila nella lotta per i diritti umani, come la premio Nobel Shirin Ebadi, che in Iran stanno combattendo per una società, un Paese più libero e giusto. Sono loro ad aver indicato la strada da perseguire...».
E quale sarebbe questa strada?
«E una strada tortuosa, complessa, che non contempla lo scontro frontale con il regime. Questo scontro va evitato, ci hanno ripetuto i nostri interlocutori iraniani. Il nucleare è importante, ci hanno detto, ma quel dossier non può, non deve mettere a rischio le possibilità, che esistono, di ottenere maggiori spazi di libertà. Questo, è bene sottolinearlo ancora, potrà non piacere ai fautori del pugno di ferro, agli evocatori di boicottaggi, sanzioni, scontri frontali. Può non piacergli ma è ciò che dall'Iran dei diritti ci viene chiesto».
Come tradurre questa indicazione?
«Evitando azioni che possano isolare i cittadini e la società civile iraniani, e sviluppando invece iniziative più "discrete" è anche per questo più incisive. Puntare, ad esempio, al sostegno di quelle associazioni per i diritti delle donne, dei bambini, dei lavoratori. E affrontando una questione sentitissima oggi in Iran: la questione della droga. Costruire partnership con organizzazioni iraniane che si occupano di temi "meno conflittuali", lavorando per scambi tra Università, per un sostegno nei campi della letteratura, della filosofia, delle arti... E tener conto dei leader locali e delle priorità che loro ci indicano. Vi sono, mi ha ripetuto recentemente Shirin Ebadi, delle "zone rosse" che non vanno oltrepassate. Perché a rimetterci non sarebbe il regime, ma chi in Iran si batte per le libertà».

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