Int. a D. Franceschini - Franceschini: è ora di difendere i piccoli

Dalla Rassegna stampa

Onorevole Franceschini, voi di Area democratica siete entrati nella riunione del coordinamento del Pd dicendo «unità, unità» e poi avete fatto partire l’assedio al segretario. 
«Non è così. Lo ripeto anche ora: unità. È una scelta politica, non uno slogan. Perciò, nessun assedio a Bersani, anche perché le sfide che abbiamo davanti in questa seconda parte della legislatura non consentono proprio lotte interne. Tra l’altro, i nostri elettori sono stanchi della litigiosità che ha caratterizzato da sempre il campo del centrosinistra». 

Scusi, sta dicendo che «tutto va bene madama la Marchesa»? 
«No, fatta questa premessa, voglio anche dire che è il momento di scegliere una linea chiara che deve partire dall’analisi di come siamo messi adesso, sapendo che questo lavoro durerà i prossimi tre anni». 

E come siete messi adesso? 
«Partiamo da un punto piuttosto basso. E non è colpa di Bersani, è un problema collegiale dei gruppi dirigenti. Guardiamo a questi dati: nel 2006 il centrosinistra era al governo nazionale e guidava sedici regioni. Adesso siamo all’opposizione e governiamo non più sedici regioni ma otto, in un perimetro circoscritto, quello dove è sempre stata forte la sinistra, e, cioè, le vecchie regioni rosse. Tutto ciò fa ancora più rabbia se si pensa che siamo di fronte a un’assoluta assenza del governo. Per risalire la china serve uno sforzo di tutti. Dobbiamo scegliere adesso, con chiarezza, la strada. Ma per fare questo occorre sciogliere alcuni nodi. Il dibattito nel Pd non deve quindi essere scambiato per litigiosità: se non sciogliamo questi nodi non sappiamo dove andare». 

E su che cosa dovrebbe incentrarsi questo dibattito? 
«Primo, sul fatto che purtroppo in Italia serve la vigilanza democratica, basti pensare ai rischi che corriamo se si sommano la Padania e il presidenzialismo senza garanzie. Secondo, il Pd deve difendere l’unica conquista condivisa dai due schieramenti in questi quindici anni, cioè il bipolarismo. D terzo punto è il più importante e riguarda l’impostazione riformista del nostro partito. Non dobbiamo dimenticare mai che il Pd non è nato solo per affrontare le elezioni ma per portare avanti un progetto molto ambizioso di cambiamento del Paese, con l’idea di mettere in campo una gerarchia di valori totalmente alternativa a quella della destra italiana». 

Progetto di cambiamento, lei, dice, ma non è che si sia visto granché. 
«Perché se noi vogliamo portare avanti il nostro progetto dobbiamo avere il coraggio di non coltivare solo il nostro orto o i mondi a noi storicamente più vicini. Dobbiamo fare delle battaglie di cambiamento». 

Qualche esempio concreto, onorevole. 
«Prendiamo il mondo del lavoro. Bisogna avere il coraggio di difendere i lavoratori e i piccoli imprenditori  allo stesso modo. Noi ci stupiamo perché perdiamo voti. Ma per forza, colpevolmente, abbiamo dato l’impressione di non occuparci della parte più dinamica del Paese. Non c’è differenza tra un artigiano che fallisce e un precario che perde il lavoro. Il lavoro, infatti, è un valore universale, e chiunque lo perde, sia costui un dipendente o un autonomo, deve sapere che lo Stato non lo abbandonerà. Un sistema di welfare universale per il lavoro come fu introdotto per il sistema sanitario più di trent’anni fa». 

Sarà complicato far digerire tutto ciò alla sinistra. Un altro esempio? 
«Dobbiamo recuperare un meccanismo di solidarietà tra generazioni». 

Scusi? 
«Mi riferisco al sistema previdenziale: in una comunità solidale è giusto chiedere ai genitori di lavorare 
qualche anno di più per dare ammortizzatori sociali e futuro ai loro figli». 

Altra proposta che potrebbe risultare indigesta a una parte del centrosinistra. 
«Il Pd è nato per uscire dal recinto tradizionale, dobbiamo parlare a tutto il Paese e fare grandi battaglie  di cambiamento. Le alleanze vengono dopo. L’errore più grave sarebbe quello di far diventare il punto centrale dell’azione del Pd la sola costruzione di un’alleanza. Abbiamo già visto in passato quali risultati porta il limitarsi a sommare le sigle: anche se vinci non governi o comunque non cambi il Paese. Certo non entusiasmi i tuoi elettori e non recuperi l’astensionismo limitandoti a mettere insieme tutti quelli che ci stanno, da Casini a Grillo». 

E per fortuna che la sua premessa sembrava un plauso al segretario... 
«Guardi che tra la litigiosità e il silenzio c’è una via di mezzo, e consiste nel dire le cose con chiarezza. Lo faremo il 7, 8 e 9 maggio, nel convegno di Area Democratica a Cortona. E questo il modo migliore per aiutare la ditta, come la chiama Bersani. Non lo è certo il silenzio». 

Franceschini, lei ha parlato di previdenza e lavoro. Ma le riforme istituzionali che Berlusconi vuole proporre? 
«Non c’è dubbio che l’Italia abbia bisogno di riforme istituzionali, ma la priorità è quella di occuparsi delle persone e delle imprese che non ce la fanno a sopravvivere alla crisi. Non si vive di pane e riforme costituzionali. Che, tra l’altro, possono diventare facilmente un alibi per non occuparsi 
del resto». 

E le alleanze? 
«Prima il Pd rimetta in campo il grande progetto ambizioso per cui era nato, poi, su quel progetto si costruiranno le alleanze». 

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