Int. a E. Bonino - «È uno spiraglio di democrazia aperto dalle primavere arabe»

Dalla Rassegna stampa

Telefono rovente a casa di Emma Bonino, questa domenica. La parlamentare radicale, vice presidente del Senato, ex Commissaria europea agli aiuti umanitari, è una delle attiviste europee più note a favore dei diritti delle donne arabe e musulmane. E le telefonate partono e arrivano anche da Riyad, capitale di uno dei Paesi finora più oscurantisti sulle richieste di emancipazione femminile.
 
Quale idea si è fatta di questa concessione di Re Abdallah? Si tratta di un tentativo di autoriforma della tradizionalista monarchia wahabita?
«Non so se arriverei fino a questa conclusione, certo si tratta di una apertura importante, dovuta a molti fattori, dall'atmosfera diversa che si è iniziata a respirare con le primavere arabe ma anche dalla mobilitazione delle donne e degli intellettuali che è stata forte in Arabia Saudita. Le donne hanno dato vita ad una sorta di disobbedienza civile sul diritto a guidare e anche se non sono state molte a sfidare i divieti mettendosi al volante col velo sono riuscite a creare un consenso intorno tramite i blog Internet in un Paese molto "internettato" e dove proprio le donne, costrette a uscire poco, vivono molto sul web. E la pressione è continuata a salire anche dopo, perché nel mondo globalizzato la domanda sul perché in Arabia non fosse possibile ottenere ciò che ormai nella maggioranza del mondo arabo e musulmano è stato raggiunto si è po- sta automaticamente. In Marocco, dove il re vanta una discendenza diretta da Mammetto, è sfiata varata la più liberale delle leggi sulla cittadinanza, in Turchia le donne guidano, votano tranquillamente, in Yemen votano da 3 o 4 tornate elettorali, in Kuwait cinque anni fa c'è stata pure una liberalizzazione dopo le campagne portate avanti dalla nostra compagna Rola Dashti, amica di Non c'è pace senza giustizia e della fondazione araba per i diritti umani. Ormai sono rimasti davvero pochi i paesi che non concedono diritti di voto e di candidatura alle donne. Dunque anche la monarchia saudita ha dovuto cedere a queste pressioni interne e esterne».
 
Quando parla di pressioni esterne parla delle Primavere arabe o anche dei principali alleati dei sauditi, gli Stati Uniti?
«Non più di tanto, purtroppo i diritti delle donne non sono mai prioritari per nessuno. Credo abbia giocato di più l'esempio dei Paesi dell'area e il vento di cambiamento. Certo, si tratta di un'apertura prudente. Il re ha parlato di un ingresso delle donne sulla scena politica che riguarderà la prossima sessione della Shura, che è un consiglio consultivo di membri nominati e poi del voto per le prossime elezioni municipali, non quelle che si svolgeranno il 29 settembre, però, cioè ora, ma tra quattro anni. Sono concessioni che possono sembrare poca cosa ma solo a chi non ha mai messo piede in Arabia Saudita».
 
Anche in Arabia Saudita però le donne avevano già conquistato alti livelli di potere nell'economia-imprenditrici e donne d'affari ce ne sono anche in ruoli chiave...
«Sì, quelle ci sono da sempre ma sono espressione di poteri di famiglia, come negli Emirati dove da anni ci sono anche ministri donne. Qui stiamo parlando di un'altra cosa, del diritto di voto e di candidarsi che implica tutta una serie di altri diritti, come facevano notare le donne che ho sentito oggi da Riyad. Fare una campagna elettorale significa spostarsi, viaggiare anche senza accompagnatori o il consenso del marito o del padre, guidare. È da sottolineare che nei giorni scorsi 60 intellettuali sauditi hanno invitato sui siti al boicottaggio delle prossime elezioni se non si fossero svolte a suffragio universale. Anche se dei quasi 300 seggi dei consigli municipali solo una metà sono elettivi, il resto sono di nomina governativa. La Shura, che è un consiglio consultivo di nomina reale, aveva raccomandato sì al re di dare il diritto di voto alle donne ma non aveva detto niente sull'elettorato passivo, invece re Abdallah dopo essersi consultato con i "saggi", ha dato la possibilità anche di candidarsi. Certo, questo non vuol dire che l'Arabia Saudita sia diventata una democrazia, solo che si apre un bello spazio di agibilità politica».
 
Avrà conseguenze in altri Paesi?
«Secondo me sì, anche in Egitto. Tutte le evoluzioni sono fatte di contraddizioni, niente è scontato e sempre c'è il timore di passi indietro, però questo segnale, pur necessitato, c'è e senza le rivolte arabe non ci sarebbe stato.
 

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