Int a E. Bonino - Scommetto su un futuro senza quote

Emma Bonino ha un lungo percorso di battaglie a favore dell'emancipazione delle donne e dei diritti civili.
Ex commissario europeo, oggi vicepresidente del Senato, presidente della Commissione per la parità e le pari opportunità del Senato e attiva nell'associazione Pari o Dispare, continua a mantenere la barra dritta nel tentativo di portare il tema delle pari opportunità sempre in primo piano, perché «in materia di diritti umani e civili o si progredisce o si torna indietro».
Norme che tutelino le quote rosa nelle giunte o nei cda delle società, come la Legge Golfo, sembrano ancora necessarie per arrivare all'obiettivo della parità. Le quote rosa, proprio dal punto di vista della parità e della meritocrazia, non sono però una piccola sconfitta delle donne?
«Se di sconfitta si deve parlare, mi sembra allora che si debba parlare della sconfitta economica e culturale di un Paese che nel 2012 si presenta ancora al penultimo posto in Europa in termini di equiparazione. Per questo m'impegno in prima persona in un'associazione come Pari o Dispare che cerca di accelerare il cambiamento dell'Italia in materia di parità, concentrandosi sul tema del lavoro e dell'uso di stereotipi femminili vecchi, quando non insultanti, nei media, inclusi quelli pagati dai contribuenti e dalle contribuenti. Sulle quote la mia posizione è netta. Non voglio battermi per una società divisa in quote: tot uomini tot donne, tot bianchi tot neri, tot omosessuali tot eterosessuali. In questi mesi ho visto le prime nomine femminili nei cda e ho contato molti nomi di donne competenti e di qualità. Staremo a vedere se questo si tradurrà in vera apertura, ma se mi pongo questa domanda: "che società vogliamo costruire?", permangono la mia contrarietà di fondo e i miei dubbi sull'efficacia delle quote come valida risposta. Ho sostenuto la necessità delle quote nelle competizioni elettorali solo come misura straordinaria e transitoria in paesi dove l'esclusione era una certezza, per esempio in Afghanistan. Ma mi umilia pensare che un simile approccio debba essere applicato oggi in Italia».
«Se di sconfitta si deve parlare, mi sembra allora che si debba parlare della sconfitta economica e culturale di un Paese che nel 2012 si presenta ancora al penultimo posto in Europa in termini di equiparazione. Per questo m'impegno in prima persona in un'associazione come Pari o Dispare che cerca di accelerare il cambiamento dell'Italia in materia di parità, concentrandosi sul tema del lavoro e dell'uso di stereotipi femminili vecchi, quando non insultanti, nei media, inclusi quelli pagati dai contribuenti e dalle contribuenti. Sulle quote la mia posizione è netta. Non voglio battermi per una società divisa in quote: tot uomini tot donne, tot bianchi tot neri, tot omosessuali tot eterosessuali. In questi mesi ho visto le prime nomine femminili nei cda e ho contato molti nomi di donne competenti e di qualità. Staremo a vedere se questo si tradurrà in vera apertura, ma se mi pongo questa domanda: "che società vogliamo costruire?", permangono la mia contrarietà di fondo e i miei dubbi sull'efficacia delle quote come valida risposta. Ho sostenuto la necessità delle quote nelle competizioni elettorali solo come misura straordinaria e transitoria in paesi dove l'esclusione era una certezza, per esempio in Afghanistan. Ma mi umilia pensare che un simile approccio debba essere applicato oggi in Italia».
Restando alla sfera politica alcune giunte, tra cui quella di Roma, sono state annullate dal Tar per non aver rispettato le quote rosa.
«In questo caso mi pare che il problema sia un altro: il rispetto delle norme. C'è infatti l'abitudine di creare norme come l'articolo 5 dello Statuto del Comune di Roma che richiede "una presenza equilibrata di uomini e donne" in giunta - che riscuotono favore elettorale e poi vengono serenamente dimenticate. Si conta sulla memoria corta degli italiani e su una scarsa sensibilità al concetto di legalità. Le donne italiane peraltro hanno dato prova in questi decenni di una pazienza incredibile, spesso sfociata in apatia, lasciando appannare le conquiste degli anni Settanta, forse confidando che il progresso di quegli anni sarebbe continuato "perché giusto". Sono contenta che in questi ultimi tempi si è assistito a un certo risveglio delle donne che sono finalmente tornate a farsi sentire».
«In questo caso mi pare che il problema sia un altro: il rispetto delle norme. C'è infatti l'abitudine di creare norme come l'articolo 5 dello Statuto del Comune di Roma che richiede "una presenza equilibrata di uomini e donne" in giunta - che riscuotono favore elettorale e poi vengono serenamente dimenticate. Si conta sulla memoria corta degli italiani e su una scarsa sensibilità al concetto di legalità. Le donne italiane peraltro hanno dato prova in questi decenni di una pazienza incredibile, spesso sfociata in apatia, lasciando appannare le conquiste degli anni Settanta, forse confidando che il progresso di quegli anni sarebbe continuato "perché giusto". Sono contenta che in questi ultimi tempi si è assistito a un certo risveglio delle donne che sono finalmente tornate a farsi sentire».
Il cammino dell'emancipazione e della parità sembra aver catturato la donna in un cul de sac. Quasi come se gli agognati pantaloni fossero stati indossati sopra ai gonnelloni. Di conseguenza la posizione risulta spesso scomoda, poco netta, duplice.
«Che l'Italia sia un paese maschilista e che stupidamente non abbia ancora capito che errore sia non utilizzare il 50% del capitale umano disponibile è un dato di fatto e gli indicatori ce lo ricordano ogni giorno. Se esaminiamo da vicino il problema del lavoro femminile, che sono profondamente convinta sia il primo da affrontare per sbloccare anche gli altri, ci si rende però conto che si devono capire bene le diverse componenti. Intanto c'è una differenza enorme tra il Nord, che ha tassi di occupazione europei, e il Sud, che presenta tassi bassissimi. Non consola la considerazione che tali dati celino il fenomeno del lavoro nero. Il Sud presenta un duplice problema: carenza di domanda e di servizi, stabilendo così un circolo vizioso che dovrebbe essere spezzato. Esiste però, e anche il Nord non ne è immune, un problema culturale che non stigmatizza i comportamenti sessisti e incoraggia le donne a sacrificare le proprie aspirazioni professionali quando non a considerarle dannose al proprio ruolo famigliare».
«Che l'Italia sia un paese maschilista e che stupidamente non abbia ancora capito che errore sia non utilizzare il 50% del capitale umano disponibile è un dato di fatto e gli indicatori ce lo ricordano ogni giorno. Se esaminiamo da vicino il problema del lavoro femminile, che sono profondamente convinta sia il primo da affrontare per sbloccare anche gli altri, ci si rende però conto che si devono capire bene le diverse componenti. Intanto c'è una differenza enorme tra il Nord, che ha tassi di occupazione europei, e il Sud, che presenta tassi bassissimi. Non consola la considerazione che tali dati celino il fenomeno del lavoro nero. Il Sud presenta un duplice problema: carenza di domanda e di servizi, stabilendo così un circolo vizioso che dovrebbe essere spezzato. Esiste però, e anche il Nord non ne è immune, un problema culturale che non stigmatizza i comportamenti sessisti e incoraggia le donne a sacrificare le proprie aspirazioni professionali quando non a considerarle dannose al proprio ruolo famigliare».
Come giudica l'attenzione delle nuove generazioni su questi temi?
«Non trovo nei giovani e nelle giovani una grande sensibilità su questi temi e molto spesso in prima linea a rivendicare i diritti delle donne vedo ancora donne della mia età. Forse le più giovani non si rendono conto che ancora pochi anni fa l'Italia era un paese in cui le donne dovevano conquistarsi molti dei diritti che oggi sembrano garantiti. Il punto di forza delle giovani donne è ovviamente di avere molto tempo davanti a sé. Dovrebbero usarlo. Per esempio orientando i propri studi su percorsi che offrano reali possibilità di inserimento professionale e quindi di autonomia, interessandosi a quello che succede nel paese e nel mondo, appropriandosi da subito dei diritti e dei doveri che competono a tutti i cittadini, cittadine incluse , ovviamente».
«Non trovo nei giovani e nelle giovani una grande sensibilità su questi temi e molto spesso in prima linea a rivendicare i diritti delle donne vedo ancora donne della mia età. Forse le più giovani non si rendono conto che ancora pochi anni fa l'Italia era un paese in cui le donne dovevano conquistarsi molti dei diritti che oggi sembrano garantiti. Il punto di forza delle giovani donne è ovviamente di avere molto tempo davanti a sé. Dovrebbero usarlo. Per esempio orientando i propri studi su percorsi che offrano reali possibilità di inserimento professionale e quindi di autonomia, interessandosi a quello che succede nel paese e nel mondo, appropriandosi da subito dei diritti e dei doveri che competono a tutti i cittadini, cittadine incluse , ovviamente».
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