Int. a E. Bonino - "Avevamo gli stessi timori sulla debolezza politica dell’Europa"

Dalla Rassegna stampa

Emma Bonino, in Europa e nelle vicende nazionali la sua strada ha incrociato spesso quella di Tommaso Padoa-Schioppa. Un alleato o un avversario?
«Erano più le cose che ci univano rispetto a quelle che ci separavano. Su tante questioni avevamo un’analoga impostazione di pensiero. Per esempio attribuivamo entrambi alla debolezza politica dell’Ue l’attuale crisi».
Era un tecnico prestato alla politica.
 «Di sicuro era un personaggio del tutto anomalo nel panorama italiano. Ci siamo visti l’ultima volta dieci giorni fa ad un convegno sulle relazioni Italia-Europa. Ero contenta di averlo trovato in pienissima forma, estremamente lucido e molto impegnato come consulente del governo greco e consigliere d’amministrazione di "Fiat Industrial". Da federalista ed europeista, era sempre in grado di elaborare analisi brillanti e taglienti sui problemi della moneta comune e sulle turbolenze dei mercati internazionali».
 
Quando lei era commissario europeo, Padoa-Schioppa era alla Banca centrale europea, poi vi siete ritrovati nel governo Prodi.
«Per due anni siamo stati immersi nelle questioni italiane e nelle difficoltà di un esecutivo carico di contraddizioni. Padoa-Schioppa realizzò una Finanziaria durissima, quella da 33 miliardi di euro e io, da ministro del Commercio estero, ottenni che non mi fossero ridotti gli stanziamenti. Evitare i tagli fu già una vittoria. In realtà, lui era d’accordo con me nell’annoverare il settore manifatturiero e le esportazioni tra le poche voci in grado di alimentare una prospettiva di crescita. Servivano strumenti più efficaci e un ammodernamento dell’Istituto per il commercio con l’estero, però non c’erano soldi e non gli fu possibile sostenere i progetti di adeguamento che condividevamo».

Quindi non ottenne da lui i fondi richiesti?

«No, ma mi resi conto che doveva fare i conti con difficoltà reali. Era un globalista e credeva nell’apertura dei mercati, puntava a ridurre l’indebitamento e alla luce degli sforamenti attuali si apprezzano di più le sue preoccupazioni. Arrivammo ad un accordo senza litigare. I fondi del mio dicastero vennero mantenuti anche se non accresciuti come lui stesso riteneva indispensabile. Gli va dato atto che in quella situazione delicatissima non avrebbe potuto fare di più».
Fecero molto discutere le sue «gaffe» sui bamboccioni e le tasse «belle da pagare»...
«Sicuramente non era un grande comunicatore. Per la verità era l’intero governo Prodi che non comunicava, o meglio trasmetteva all’esterno tutte le sue contraddizioni. Però lui era più spigoloso di altri e ci eravamo confrontati anche su questo. Anch’io sono spigolosa, però sostenevo che le stesse cose che diceva lui si sarebbero potute dire in maniera diversa. Tommaso aveva un impostazione molto lontana dal modo di ragionare italiano: per l’andazzo del nostro Paese era del tutto un’entità estranea. Come cultura, letture e persino come portamento era un anglosassone».

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