Inferno di Stato

E’ morto, suicida, il diciassettesimo detenuto. Fanno più di quattro esseri umani morti nelle nostre carceri ogni mese. Il numero elevato e in costante crescita della popolazione detenuta - che ad oggi supera le 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti produce un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie italiane, che colpisce detenuti e carcerati come i servitori dello Stato che lealmente vi prestano servizio. Di misure alternative al carcere, questo governo non ne fa certo una priorità.
Da uno studio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria risulta che, degli oltre 65.000 detenuti, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento potrebbe essere assolto alla fine del processo. Un’anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei: il ricorso sempre più frequente alla mi- sura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose.
Ne va di mezzo la salute. Da un’indagine parlamentare emerge che il 41% dei detenuti è in stato di salute scadente o addirittura grave. E la sanità regionale, a corto di fondi, può fare poco. Si pensi che alle regioni non sono arrivati nemmeno i fondi relativi all’ultimo trimestre del 2008 e a tutto il 2009.
Bisogna ragionare su quali strumenti mettere in campo, seguendo l’approvazione unanime del Senato della Repubblica della mozione Pd a mia prima firma (con oltre 90 ulteriori firmatari iniziali) in cui figurano, approvati dal sottosegretario Caliendo (gliene do atto), oltre 15 dei 22 punti iniziali di possibile riforma presentati da me e da Rita Bernardini e Dario Franceschini alla Camera dei Deputati. Penso a un Garante dei detenuti a livello nazionale, già presente in molte regioni. E’ una figura fondamentale, che dovrà lavorare assieme alle autorità locali e ai magistrati di sorveglianza, per risolvere quelle criticità presenti in tanti istituti penitenziari. Se poi non riduciamo i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, e la possibilità per il magistrato di applicare misure cautelari personali in ben specificati casi, di strada se ne farà poca. E chiaro che bisogna intervenire sul codice penale, e qui il Pd deve assumere un ruolo propositivo, se vuole scavalcare i no della maggioranza. Ne consegue che bisognerà rafforzare sia gli strumenti alternativi al carcere previsti dalla legge «Gozzini», sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall’estensione dell’istituto della messa alla prova. Tutto questo se vogliamo davvero considerare il carcere come un luogo di rieducazione, come ci chiede anche l’Europa, e non un luogo dove dimenticare chi ha sbagliato.
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