Imu alla Chiesa, via libera al regolamento

Dalla Rassegna stampa

Le regole ora ci sono. «Giusto che la Chiesa paghi per attività extraculto. Vanno rispettati i principi dell'Unione europea». Il Consiglio di Stato ha dato il via libera al regolamento del governo che fissa le modalità per tassare gli immobili commerciali degli enti non commerciali e anche quindi i beni della Chiesa che hanno destinazioni commerciali. Da gennaio avranno l'obbligo di pagare l'Imu, in quota parte rispetto all'attività concretamente no-profit. Ma le valutazioni dei giudici amministrativi, che nel precedente esame avevano bocciato il provvedimento perché «esulava» dalla legge dalla quale era delegato, contengono anche dei rilievi concreti sulle modalità per identificare le attività non lucrative. Tra questi, il «carattere simbolico» delle rette. Manca il riferimento alle norme europee che identificano l'attività economica e incombe «il rischio di una procedura di infrazione». Il regolamento ha l'ok del Consiglio di Stato ma saranno necessari dei ritocchi prima del varo finale per adeguarlo alle norme comunitarie evitando escamotage che estendano l'applicazione concreta. Il regolamento, che ancora non è noto, può essere desunto dall'atto del Consiglio di Stato. È composto da sette articoli che identificano i soggetti «no profit» e regolano anche gli immobili che hanno utilizzazione mista, cioè quelli che avevano creato problemi di applicazione dell'Imu. Se sarà possibile individuare l'immobile o la porzione di immobile adibita ad attività non commerciale si esenterà solo questa «frazione di unità». Se ciò non è possibile, si applica l'esenzione in modo proporzionale all'utilizzazione non commerciale dell'immobile. I nodi affiorano però sull'eterogeneità dei requisiti individuati per stabilire le attività non commerciali. In alcuni casi è utilizzato il criterio delle gratuità o del carattere simbolico delle retta (attività cultura, ricreativa e sportive). In altri il criterio dell'importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso territorio (strutture ricettive e in parte quelle sanitarie). In altri ancora il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche). I rilievi dei magistrati entrano nel dettaglio. Sulla scuola, l'Ue consente che si possano pagare tasse di iscrizione e contribuire ai costi di gestione, però il criterio usato dal governo della «retta simbolica» che «non copra integralmente il costo effettivo del servizio» non è «compatibile col carattere non economico dell'attività». Tale criterio, infatti, «consente di porre a carico degli utenti anche una percentuale dei costi solo lievemente inferiore a quelli effettivi». Intanto divampa la polemica. Il segretario del Psi, Riccardo Nencini, chiede alla Cei di « rinunciare ad esenzioni inique ed ingiustificabili». Ma il direttore di «Avvenire», Marco Tarquinio respinge la «favola della cappellina che renderebbe esente un edificio alberghiero», anzi «un edificio che ha una cappellina all'interno, paga l'imposta anche sulla cappellina». Quanto all'accusa dei Radicali secondo i quali l'esenzione alla Chiesa produrrebbe nelle casse dello Stato un buco di «almeno 500 milioni all'anno», Tarquinio ribatte che «l'Anci non ha mai fatto una stima del genere » e che i primi due contribuenti del comune di Roma per l'Imu sono, dopo l'Inps, l'Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) e Propaganda fide, cioè due organismi del Vaticano presenti con immobili di proprietà e affittati anche fuori dal confine dello Stato pontificio. E il Forum del terzo settore avverte: «Si faccia chiarezza e non si penalizzi non profit», in quanto «affrontare il tema in modo approssimativo mette a rischio mense per i poveri, dormitori, assistenza ai disabili, cura degli anziani, protezione civile, difesa del patrimonio culturale». Nella «sfida» delle esenzioni la palla torna al Tesoro.

 

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