Impressioni da Istanbul

Dalla Rassegna stampa

6 Settembre 1983
Le cupole galleggiano leggere, ampie, d'un grigio inaspettato che sfuma nel celeste, costellando il profilo della città come una flotta di astronavi planate sul Bosforo da milioni di anni, e sono le cupole delle cinque-seicento moschee di Istanbul; più una, la madre, quella di Hagiya Sofya.

12 settembre 2011
Oggi le moschee sono circa 3000, ma oggi c'è internet e si possono contare... Sono tornata qui perché non l'avevo mai dimenticata, Istanbul...La prima volta non sapevo quasi niente della triplice città che allaccia Europa e Asia, ma la visione delle cupole islamiche aveva segnalato subito per me un contrasto persino «mistico» - un sovrappiù di spiritualità - istintivamente paragonato al profilo insieme autoritario e carnale della Chiesa di Roma. Il primo confronto «visivo» tra le due città era stato proprio quello delle cupole: muscolose, terrestri, sode, con capezzoli erti, come mammelle popolane, a Roma, e dilatate, veleggianti tra mare e cielo, a Istanbul. Quel viaggio del 1983 lo desideravo fuori dal tempo, fuori, soprattutto, dalla cronaca politica: negli ultimi tre anni era successo di tutto in Turchia, un terremoto, le prime elezioni indette dalla dittatura militare e, nell'isola di Cipro, la proclamazione di una Repubblica turca mai riconosciuta (fino a oggi) a livello internazionale... Intanto io uscivo da anni italiani politicizzati e burrascosi, ai quali avevo preso parte, e mi serviva una pausa. Di pura contemplazione. Meraviglia per tanta bellezza, tutta quell'acqua azzurra - il Bosforo, il Mar di Marmara, e al tramonto il Corno d'Oro, quando il sole arancione si immergeva, indorandole, nelle acque dell'Halic - mi evocava, come un rimorso, lo Stretto, a cui avevo rinunciato a vent'anni...E poi un'intuizione... La fermai sulla carta, al ritorno a casa, in quelle trenta paginette che non furono mai lette da nessuno perché non avevo più un giornale su cui scrivere, da quando nel 1981 mi ero dimessa dal «Giorno», dopo aver chiesto invano al direttore, Guglielmo Zucconi, di pubblicare i documenti delle Br in cambio della liberazione del magistrato Giovanni D'Urso, sequestrato il 12 dicembre 1980 da alcuni militanti. (...) «Una vita vale infinitamente più di qualsiasi pezzo di carta», aveva implorato l'adolescente Lorena, la figlia del magistrato prigioniero, approfittando di un blitz televisivo di fine anno che le aveva offerto Marco Pannella. Il direttore non pubblicò la mia lettera, né, tanto meno, i documenti arrivati dalle carceri di Trani e Palmi. Io mi dimisi. Altri direttori di quotidiani li pubblicarono (Vittorio Emiliani del «Messaggero») e D'Urso fu liberato (...)

Nel 1983 non sapevo quasi niente della Turchia. Ma ero attratta dalla grande mostra, organizzata dal Consiglio d'Europa, e con quel titolo suggestivo: «Diecimila anni di civiltà in Anatolia». Fidavo, per il viaggio, nell'organizzazione degli Amici della Galleria nazionale d'Arte moderna di Roma; per la verità, eravamo quasi tutte donne. (...) Il fascino della mostra dipendeva, almeno per me, dall'onda alta del movimento femminista internazionale, che andava riscoprendo non tanto il matriarcato - mai esistito come potere strutturato - ma la Grande Madre e i suoi miti. E non ne sarei rimasta delusa (...)

Istanbul,1983
Nel 1958 l'archeologo inglese James Mellart ha scoperto un insediamento, Catalhòyiik, in cui le donne avevano un ruolo dominante, testimoniato dal culto della Dea Madre. E qui infatti sono le dee madri (ex voto per impetrare la fecondità) che dominano: grasse, rannicchiate nella loro esuberanza rassicurante di mammelle, ventre, fianchi, a volte con due piccoli neonati fasciati come mummie stretti tra le braccia, e tutte, ahimè, prive di testa. Non conoscevano gli specchi le donne che, impastando con mani sapienti l'argilla, imploravano la Dea? Ed erano così gelose l'una dell'altra da rifiutare di modellare il volto di un'amica, di una sorella, di una vicina? (…)

Corriamo attraverso le limpide navate di Santa Irene, all'inseguimento del tempo: ecco la kore, la fanciulla del periodo arcaico greco con la sua veste elegantemente plissettata (...)

Gli incontri successivi sono del resto tutti incontri d'amore e anche, in parte, abbaglianti conferme di intuizioni - troppe volte tacciate di scarsa scientificità - sulla primogenitura di una mito- logia femminile: perciò Atena che sconfigge i Giganti(bassorilievo romano d'Afrodisia, del II secolo a.C.) o il combattimento tra i Greci e le Amazzoni (frammento del fregio del Mausoleo di Alicarnasso, IV sec a.C.). Allora, vien voglia di esclamare: è tutto vero ciò che le donne faticosamente hanno cercato di portare alla luce, negli ultimi quindici-vent'anni, sulla loro epopea sommersa, ed è qui, materializzato, tangibile, inscritto su questi marmorei, mutilati corpi di donna. Con l'Afrodite Anadiomene di Myrina, del I secolo a.C. giuro di concludere la carrellata «femminista» sulla mostra di Istanbul: è una terracotta deliziosa (alta 36 cm), la dea si guarda probabilmente allo specchio, sollevando le treccine in un gesto di eccitante civetteria, mentre la corazza che ne imprigiona il bel corpo fa pensare a un'ottocentesca guépière, con stecche di balena e stringhe. (...)

12 settembre 2011
Approdiamo, dopo la visita a Chora, in una sorta di moderna borgata, irriconoscibile almeno per me, e questa sarebbe oggi Eyiip... Spariti i caicchi dai colori brillanti e le case di legno scuro coi bovindi, rifatta lussuosamente in marmo di Efeso e accecante nel sole la pavimentazione della piazza che introduce alla moschea, tutt'intorno si sono moltiplicati gli stand di souvenir, i banchetti dei paninari, le rivendite di francobolli, sigarette e cartoline illustrate. Non ci resta che affrettarci verso i luoghi santi: entriamo nel cortile antistante la moschea, la Eyiip Sultan Camii, dedicata da Mehmet II il Conquistatore all'eroe Eyiip, l'arabo che aveva ospitato a lungo Maometto nella sua casa ed era stato ucciso nel 669 d.C. con le armi in pugno, tentando, nel corso di una spedizione destinata al fallimento, la conquista della capitale bizantina. (...)

L'approccio «miracoloso» alla tomba dell'eroe possiamo dire di averlo ricevuto con il dono delle zollette di zucchero bianco che, appena siamo entrati nel secondo cortile del complesso, ci hanno offerto due sorridenti ragazze (non velate). - Ma dimmi, Serkan - ho chiesto al nostro accompagnatore - perché ci offrono lo zucchero? Che cosa vuol dire? - Nella nostra religione, quando si riceve una grazia, si ha voglia di condividerne la gioia con chiunque ci sia vicino, anche se incontrato casualmente... (...)

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