Gli imbarazzi e le distanze

Dalla Rassegna stampa

La bocciatura di una «lista Monti» alle prossime elezioni da parte del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sorpreso un po' tutti. Eppure, da giorni il Quirinale osservava con estrema attenzione e qualche perplessità le pressioni sul presidente del Consiglio perché entrasse in qualche modo nella mischia politica. E sebbene Mario Monti non avesse assecondato queste spinte, si era creata una bolla di ambiguità nella quale ormai soffiavano in troppi. Lentamente, il profilo del presidente del Consiglio si stava modificando. Non tanto da tecnico a politico, dicotomia fuorviante, ma da senatore a vita scelto come capo di un governo formalmente super partes , a potenziale candidato di uno schieramento.

È stata questa metamorfosi in fieri , subita e non voluta, a indurre Napolitano ad una presa di posizione inusuale e irrituale. D'altronde, il Quirinale doveva fronteggiare l'inquietudine di un Pd reso nervoso dalle cautele e dalle resistenze che si registrano sul piano internazionale nella prospettiva di un esecutivo guidato dal centrosinistra. Voleva far capire a quanti indicano Monti come premier anche del futuro, che sottrarlo il più possibile alla campagna elettorale significa preservarlo come successore di se stesso a Palazzo Chigi, o altrove. Ed era deciso a togliere Monti dall'imbarazzo di un limbo che rischiava di delegittimarlo.

C'è da chiedersi se ai ministri che sono intenzionati a entrare in Parlamento tocchi parlare in maniera altrettanto chiara. L'eventuale trasformazione in candidati di partito pone una questione di opportunità e di stile. Ma le tensioni e le contraddizioni confermano la difficoltà di mantenere sui binari della «terzietà» un esecutivo nato per volontà di Napolitano e dell'Europa; appoggiato lealmente dalla maggioranza; e sempre in bilico fra chi lo viveva come parentesi e chi invece ha cominciato a proiettarlo nel futuro. Di questa identità incerta, in fondo, è stato ed è simbolo appariscente lo stesso Monti. E l'intervento del Quirinale tende a ricondurre Palazzo Chigi alla sua identità originaria.

Può darsi che questo dia la sensazione di un'incrinatura nei rapporti fra Napolitano e Monti: da un po' di tempo qualcuno la accredita, e forse lavora per provocarla. Eppure, entrambi hanno sempre condiviso l'esigenza di rassicurare l'opinione pubblica e le istituzioni europee e quelle finanziarie internazionali. E continuano a farlo. C'è solo da domandarsi se la prossimità delle urne possa accentuare le variabili tattiche; e dunque aumentare la confusione e la complessità di un percorso che prevede fine della legislatura e del settennato, e archiviazione della Seconda Repubblica. Certo non aiuta l'assenza di una legge elettorale nuova, e di candidati ufficiali a Palazzo Chigi: almeno finora.
Questo vuoto alimenta un'affannosa rincorsa a riempirlo. E a piegare le situazioni, spingendo o frenando traiettorie che qualcuno dà per scontate e che altri vogliono fermare. In realtà Monti, e con lui Napolitano, sono i parafulmini di un sistema politico che non funziona; e che li costringe, loro malgrado, ad una supplenza giocata sempre sul filo del rasoio, ed esposta alle strumentalizzazioni: perfino a quelle che vorrebbero essere utili all'Italia. Ingessare le dinamiche messe in moto da questo governo è impossibile. Accelerarle troppo potrebbe farle impazzire. E la via di mezzo andrà trovata giorno per giorno, con pazienza. Fino al voto.

 

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