Helmut Kohl prigioniero della storia

Dalla Rassegna stampa

L’ultima volta che vidi Helmut Kohl fu in un nevoso pomeriggio del novembre 2009, nei giorni in cui Berlino in festa commemorava il ventennale del crollo del Muro. Mi trovavo in un punto della grande capitale riunificata che ai tempi della guerra fredda era stato ideologicamente e pericolosamente strategico.

L’area della Porta di Brandeburgo, area del confine occidentale del Muro, quella da cui Kennedy nel 1961 aveva lanciato ai tedeschi e al mondo il leggendario: «Ich bin ein Berliner!».

Ero penetrato quasi per caso, spinto da curiosità storica, all’interno di un bianchissimo edificio dedicato, proprio lì, alla memoria e al grido del presidente americano. Non m’aspettavo però di ritrovarmi, dopo una breve scalinata, in una saletta quasi in penombra riempita da uno sparuto pubblico di giornalisti, fotografi, operatori televisivi: tutti rivolti, con i loro strumenti tecnologici, verso un lungo tavolo basso, occupato da alcuni uomini in abito scuro fra i quali spiccava il busto di un ottuagenario corpulento, dallo sguardo mite e vago, costretto e come rassegnato con una certa rigida allegria all’infermità su una sedia a rotelle.

Nonostante la scarsa luminosità riconobbi quasi subito, in quel torso maestoso e in quella faccia carnosa, le sembianze di Helmut Kohl. Con una voce già afona e parole incespicate stava presentando ai giornalisti un paio di libri, tra cui una breve autobiografia, mentre con stupore io mi domandavo perché, oltre ai giornalisti e ad alcuni funzionari editoriali, non fosse presente in sala nessun qualificato esponente delle istituzioni governative. Pochi giorni prima lo stesso Michail Gorbaciov, che nell’89 negoziò personalmente con Kohl la fine del Muro e della Germania comunista, aveva dichiarato in un dibattito nell’ex settore Est di Berlino: «Noi abbiamo avuto con Helmut Kohl, cancelliere federale tedesco, l’uomo giusto al posto giusto nel momento storicamente giusto».

La verità è che già nei frastornanti giorni di festa del 2009 l’Altkanzler, «il vecchio cancelliere», il protagonista della riunificazione, il presidente e leader indiscusso della Cdu, era un grande assente, un grande innominato. Oserei dire un grande ripudiato. Come non pensare all’ingrato comportamento di Angela Merkel, proveniente dall’Est comunista, nei confronti di chi le aprì la strada nella Germania libera e riunita, la portò ai vertici del primo partito tedesco, e di fatto operò contro se stesso favorendone l’ascesa al cancellierato? Non a caso la protetta verrà accusata di «parricidio politico» allorché, nel momento più acuto della tangentopoli sul finanziamento dei partiti che colpì in pieno il suo protettore, sentenzierà calma e glaciale: «Basta, oramai deve andarsene».

Quando nel 2005 Merkel diventerà il primo cancelliere donna della storia tedesca, circonderà l’evento un obliquo sentore d’usurpazione e d’inganno. «Der Spiegel» la presenterà al pubblico come «una massaia conservatrice, di tradizione luterana, dal sorriso enigmatico di una Gioconda nordica». Chi mai poteva comunque immaginare, all’epoca diciamo del primo Muro e di Ulbricht, che la figlia di un pastore evangelico, nata quasi per caso in un oscuro villaggio della Germania orientale, avrebbe rappresentato un giorno sulla scena mondiale ottanta milioni di tedeschi riuniti?

Ma torniamo a Kohl che sicuramente, per tanti aspetti, ha incarnato un tipo di civiltà tedesca agli antipodi di quella più chiusa, o più «barbarica» della Merkel, per dirla con Goethe che non amava i prussiani né in generale i tedeschi dell’Est e del Nord. Si sente alle spalle di Kohl l’ampio respiro europeo della civiltà renana: si sentono Adenauer e Erhard. Non sapremo mai con precisione ciò che l’Altkanzler, il quale non riesce più a parlare, il quale vive ormai murato dentro se stesso, pensa della sua vicenda così straordinaria sul piano della storia e così sventurata sul piano personale e familiare. Nel momento in cui il Bundestag ne celebra gli esordi di cancelliere, che datano all’ottobre del 1982, lo «Spiegel», puntuale e spietatamente veritiero come sempre, c’informa che la tragedia anche familiare di Kohl s’è purtroppo compiuta fino in fondo. Dopo la prima moglie suicida, la seconda, Frau Maike Richter, non ancora cinquantenne, lo terrebbe di fatto prigioniero» in combutta con altri familiari privi di scrupoli. Il titolo di copertina, dedicato alla «tragedia» di uno dei più significativi e decisivi uomini della storia politica tedesca ed europea del Novecento, sostiene che egli ormai sopravviva a se stesso in uno stato d’inganno e d’isolamento programmato dal mondo.

Mai, dal 1945 ad oggi, s’era scritto e stampato qualcosa del genere in maniera così visibile e così perentoria su uno dei più importanti e più letti giornali liberali tedeschi.

© 2012 La Stampa. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK

Ti potrebbe interessare anche:

Dichiarazione di Riccardo Magi, segretario di Radicali Italiani: Quello che ora più conta è la vita dei cubani. Costretti da decenni di dittatura dentro un recinto che impediva al progresso di entrare e loro di uscire, evitando tutti i rischi e le opportunità. In questa transizione difficilissima...
Dichiarazione di Valerio Federico, Tesoriere di Radicali Italiani: "Gli stati nazione hanno fallito nel governo dei grandi fenomeni in corso quali l’immigrazione, le crisi economico-finanziarie, i cambiamenti climatici e il terrorismo internazionale. Il regionalismo italiano ha prodotto spesa...
Sabato 8 ottobre a Roma alle ore 16 ci ritroveremo in Piazza Mazzini e marceremo fino a Castel S. Angelo per un società aperta e per lo Stato di Diritto, con Emma Bonino, insieme ai rappresentanti di molti popoli oppressi nel mondo. Con questa iniziativa vogliamo porre l’attenzione sul pericoloso...