Hanno vinto i "frocetti"

Alla fine, i «frocetti», hanno vinto. A dire il vero, Nicola Cosentino smentì di avere detto così. Era stato frainteso. Piuttosto, aveva usato «fighetti».
In ogni caso la sostanza non cambia. Per una di quelle classiche congiunzioni del destino, nello stesso giorno in cui il Casalese della politica italiana incassa il no al suo arresto per camorra e al Senato il vicecapogruppo del Pdl Gaetano Quagliariello minaccia solennemente che «non ci piegheremo al tentativo di trasformare l’Italia nella repubblica dei pentiti», Silvio Berlusconi in persona stoppa definitivamente le sue ambizioni a fare il candidato governatore del centrodestra in Campania.
Tutto è accaduto nel giro di poche ore. Le stesse in cui la giunta per le autorizzazioni ha respinto la richiesta delle manette per il sottosegretario all’Economia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un voto a maggioranza contro l’arresto per collusione con i clan casalesi: undici no, sei sì e l’astensione del radicale Maurizio Turco. Poi il bis, al Se--
Tutto è possibile, anche che venga rinviato l’incontro con l’ormai super pentito Gaetano Spatuzza o che i beni in mano a Silvio Berlusconi e ai suoi parenti vengano sottoposti alle misure di prevenzione malgrado non venga incriminato né condannato per reati di mafia. A guardare tra le carte e tra i ritagli dei giornali la giustizia è piena di casi di gente assolta dal concorso o dalla associazione ma i beni sono sottoposti a misure di prevenzione, cioè tolti e affidati ai curatori che spesso li fanno funzionare meglio che in mano ai presunti mafiosi.
Chi ha voluto il suo male pianga se stesso, sembra questa una frase adatta. A furia di fare una riforma a spizzichi e bocconi, a furia di dimostrare di essere più realisti del re e diventare nato, stavolta per il dibattito sulle mozioni di sfiducia presentate da Pd e dipietristi. Anche in questo caso rimandate al mittente dal centrodestra. Due decisioni scontate, a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Nelle stesse ore, dunque, il Cavaliere rientrato ieri a Roma ha fatto un lunga serie di telefonate riservate ai quattro componenti campani dell’ufficio di presidenza del Pdl, che si riunirà oggi anche per un punto sulle regionali del prossimo anno. Due ministri, un sottosegretario e un vicecapopogruppo parlamentare: Mara Carfagna e Gianfranco Rotondi, Pasquale Viespoli e Italo Bocchino. Questi ultimi due finiani di ferro. Le conversazioni telefoniche hanno sostituito una riunione che si sarebbe dovuta tenere martedì scorso su sollecitazione della salernitana Carfagna (anche lei anti-Cosentino) ma saltata perché Berlusconi è rimasto a Milano. A tutti e quattro, il premier ha anticipato la sua decisione facendo il seguente meno garantisti possibili sui reati di mafia, alla fine la legge Rognoni–La Torre è stata modificata anche laddove riguarda le misure di prevenzione, proprio di recente. E cosi, attendant Spatuzza, si scava e riscava nei fascicoli per ricostruire una storia spesso dimenticata con la strana sensazione che stavolta c’è qualcosa in più delle tante volte passate in cui il premier è stato sempre salvato da processi (ma non da accuse). E tutto parte dal processo in secondo grado contro Dell’Utri già condannato a nove anni e da quello che dicono Spatuzza, i fratelli Graviano e Massimo Ciancimino.
A proposito di Ciancimino, torna in giro la vecchia storia di Francesco Paolo Alamia, personaggio spesso visto alle sedute del primo processo Dell’Utri. Alamia, come scive Riccardo ragionamento: «Dopo quello che è successo, Cosentino non è più il candidato ideale, avete ragione. Ed è meglio che non faccia nemmeno più il coordinatore regionale, ma bisogna concedergli l’onore delle armi con la conferma a sottosegretario ( dimissioni da tutto era la richiesta di Bocchino, ndr). Il nuovo candidato governatore lo decideremo insieme».
Tramontato Cosentino, a questo punto i nomi sul tavolo sono tre: Rotondi, il socialista del Pdl Stefano Caldoro (già sponsorizzato dal triumviro Bondi in funzione anti-Cosentino) e il magistrato Arcibaldo Miller. Per la poltrona di coordinatore regionale, invece, sono in ballo: il senatore Pasquale Giuliano, presidente della commissione Lavoro (vicino a Schifani); il deputato bondiano Maurizio Iapicca; lo stesso Caldoro, qualora non fosse lui il candidato governatore.
La vera novità della rosa per Palazzo Santa Lucia, sede del presidente della regione Campania, è rappresentata da Miller, capo degli ispettori al ministero della Giustizia (nomina voluta dall’allora guardasigilli Castelli, poi confermata da Mastella). Il magistrato ha alle spalle una controversa carriera (due procedimenti contro di lui, poi archiviati: per camorra e per aver frequentato una casa d’appuntamento gestita da pregiudicati). Il suo nome è stato fatto dai due padri-padroni del partito: Cosentino e il presidente della provincia di Napoli Luigi Cesaro.
In particolare, sarebbero molto stretti i rapporti tra Cesaro e Miller, già pm della procura partenopea. Una relazione che parte da lontano, quando il magistrato Miller fece addirittura arrestare il presunto camorrista Cesaro nel 1984 durante un blitz contro i cutoliani (la vicenda è raccontata sull’ultimo numero dell’Espresso). Oggi sono grandi amici e Miller è stato testimone di nozze del fratello di Luigi, Antimo. Non solo: una nipote del magistrato lavora in una clinica Igea della dinasty Cesaro di Sant’Antimo. Da tempo circolano voci su una richiesta d’arresto anche per il presidente della provincia. Nel frattempo, un altro fratello, Aniello, è stato segnalato in visita in un municipio del Napoletano, Frattamaggiore, per chiedere notizie su un’ispezione dei carabinieri: i militari hanno acquisito documenti sulla convenzione tra i centri sportivi dei Cesaro e l’ente pubblico. Analoghi blitz anche a Portici e a Marano, amministrate dal centrosinistra, come anche Frattamaggiore. Microcasi di consociativismo che qualcuno sta già rinfacciando a Cosentino. La famiglia Cesaro ha un impero che comprende centri medici e sportivi e imprese edili. E non mancano alcuni segnali inquietanti: negli ultimi due mesi, le sue cliniche hanno subìto tre rapine e infine, davanti alla sede del Pdl a piazza Bovio, a Napoli, è stato scaricato un camion di letame.
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