Guerra fredda nel partito fra maggioranza e ala postberlusconiana

La novità della quale la maggioranza fatica ancora a prendere atto è l’emersione di una destra che si considera postberlusconiana; e che il grosso del Pdl percepisce per questo come «antiberlusconiana»: un ossimoro per quindici anni, e fino a pochi mesi fa. Per quanto minoritaria, assediata, e bersagliata, si sta rivelando più coriacea del previsto; ed in grado di reggere alle accuse di eresia ed alle minacce di espulsione. L’opposizione che applaude Gianfranco Fini, e sotto sotto lo candida alla guida di un ipotetico governo istituzionale, non lo fa perché vede in lui cromosomi «di sinistra». Lo fa perché percepisce un allontanamento progressivo dal Cavaliere. Si tratta di una distanza nel modo di concepire Pdl, leadership, rapporti istituzionali.
Ma è il sintomo della rottura degli equilibri nel centrodestra, non la sua causa. Testimonia l’esaurimento di una fase che la vittoria del 2008 ha consacrato e insieme cominciato ad archiviare. Per questo i tentativi di circoscrivere il conflitto, seppure generosi, appaiono difficili. La tensione fra Silvio Berlusconi e Fini è destinata a rimanere alta, a prescindere dalle frasi contro il premier dette fuori onda il 6 novembre dal presidente della Camera. La parola «tradimento» filtra dai siti dell’ex FI. E sul «Secolo d’Italia», organo dell’ex An, si parla di «provocazioni per sospingere Fini altrove».
È il linguaggio fra due realtà che faticano a convivere perché non seguono più le stesse coordinate politiche e culturali. L’ammonimento berlusconiano a seguire «la linea del partito» è un richiamo all’ortodossìa e ad una fase che sembra ormai alle spalle. La durezza con la quale Fini rivendica le proprie posizioni mostra un braccio di ferro nel quale, per quanto isolato e sotto tiro, la terza carica dello Stato ritiene di avere forza sufficiente almeno per resistere all’alleato-avversario. Sono atteggiamenti che provocano danni collaterali. Ma questa preoccupazione sembra passare in secondo piano rispetto all’esigenza di marcare il proprio spazio vitale.
I contraccolpi per la maggioranza ci sono, però, e la guerra fredda Berlusconi-Fini è il più vistoso. Ma altrettanto pesante è la dissoluzione del Pdl in Sicilia, formalizzata ieri dalla bocciatura del Dpf regionale. La Lega sottolinea che l’unità conviene a tutti. Umberto Bossi prevede che le polemiche si scioglieranno «come neve al sole»: vuole continuare a garantire la stabilità del governo, condizionando l’agenda berlusconiana. Eppure, col suo protagonismo che affiora a intermittenza, il Carroccio contribuisce alle difficoltà del centrodestra. Sono segni di una crisi che si avverte dunque a più livelli; e che dilata la conflittualità senza offrire vie d’uscita.
Ma probabilmente una soluzione si dovrà trovare, in una fase in cui i berlusconiani definiscono «il riequilibrio dei poteri» con la magistratura «motivo fondante» del Pdl; e girano voci di altre inchieste sul premier. Il problema è che l’intesa potrebbe rivelarsi faticosa, limitata, e gravida di altri scontri: anche se parlare di «antiberlusconismo» nel Pdl sa di bestemmia politica. Centrosinistra e Udc si limitano ad osservare. Sanno che l’idea di poter determinare o accelerare il dopo-Cavaliere è velleitaria. In realtà, in questa fase ogni scorciatoia risulta impervia: che si tratti di evitare in ogni modo il voto anticipato, o che si faccia di tutto per provocarlo.
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