Grillo sfrutta i problemi etici del Pd

Mancava giusto Beppe Grillo per archiviare ogni speranza di trovare un’alchimia: puntualmente, ora che si avvicinano le elezioni, il centrosinistra riesuma tutta quell’incapacità di convivenza che ha sempre animato i contrasti tra l’anima laica e quella cattolica del “polo” che si è venuto a formare dall’indomani della fine della Prima Repubblica. Seguendo un copione consolidato da ormai più di vent’anni, i contendenti hanno ricominciato a litigare sui temi etici, in questo caso sui matrimoni tra omosessuali, una questione riemersa dopo la riunione dell’Assemblea del Partito democratico che si è tenuta nel fine settimana e in occasione della quale la presidente Rosy Bindi è entrata in conflitto con i laicisti, rea di aver depennato la questione dell’ordine del giorno. Come detto però l’ingrediente in più, quello che ha fatto deflagrare un’altra volta le tensioni, è stato l’ultimo arrivato, il comico genovese che non ha perso l’occasione per attaccare i democratici, insinuando che Rosy Bindi non avrebbe mai avuto problemi a regolarizzare il rapporto con l’amore della vita perché non ne ha mai avuto uno. Grillo sulla sua pagina internet ha scritto: «All’Assemblea del pdmenoelle, il partito che vorrebbe governare l’Italia (non ridete per favore), si è discusso principalmente di un fatto che dovrebbe essere scontato, pacifico: le nozze gay e i diritti delle coppie omosessuali. Io sono favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ognuno deve poter amare chi crede e vivere la propria vita con lui o con lei tutelato dalla legge». Per poi aggiungere: «La Bindi, che problemi di convivenza con il vero amore non ne ha probabilmente mai avuti, ha negato persino la presentazione di un documento sull’unione civile tra gay. Vade retro Satana. Niente sesso, siamo pidimenoellini. La Binetti sotto il palco gridava “Devianza, devianza!”, mentre indossava un cilicio osè sulla coscia e si flagellava con un frustino di corda». Detto che l’onorevole Paola Binetti non fa nemmeno più parte del Pd, essendo passata da tempo immemore nell’Udc, le parole di Grillo hanno sconvolto l’opinione politica in modo bipartisan. «Indecenti: le parole di Grillo sono il segno di un maschilismo e di una volgarità di cui pensavamo avesse dato miglior prova Berlusconi, ma evidentemente al peggio non c’è limite» ha commentato il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Sulla stessa linea di pensiero anche il vice segretario del Pd Enrico Letta, che su Twitter ha espresso «solidarietà a Rosy Bindi. Mano mano che si esprime sui temi si chiariscono le cose. Vediamo cosa diranno i grillini» e la parlamentare del Pd Livia Turco, secondo la quale l’attacco di Grillo alla Bindi è stomachevole: «Quando si arriva ad aggredire volgarmente la sfera personale, si dimostra prima di tutto il vuoto e il cinismo di chi lo fa. Poi, si esprime la peggiore politica di chi, pur di apparire, calpesta anche il minimo senso della dignità e del rispetto» ha detto.
Continua, parallelamente, il dibattito sulle primarie. Anche questo ravvivato dall’assemblea di sabato scorso e dalle successive dichiarazioni di Matteo Renzi, sindaco di Firenze. Nell’intervista di ieri al Corsera, la Bindi è tornata sull’argomento: «Tra me e il segretario sul tema dei diritti non c’è nessuna divergenza. Se me lo chiederà alle primarie lo appoggerò. Anzi, spero che me lo chieda» ha detto. Nessun timore che Renzi metta in ombra i dirigenti storici come lei, Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Dario Franceschini: «Ma quale cono d’ombra. Noi siamo assolutamente indispensabili. Bersani sa che senza di noi le primarie non le vince, quindi è chiaro che saremo al suo fianco. Per vincere c’è bisogno di tutto il partito. Renzi dorma pure tranquillo, io non mi presenterò alle primarie. Ma sappia che non toglierò il disturbo fino alle prossime elezioni e anche oltre».
Infine il fronte elettorale, con una nuova cattiva notizia poiché sembra che si stia profilando una nuova convergenza di Pdl, Udc e Lega Nord sulle preferenze, con un sistema proporzionale con uno sbarramento alzato al 6 per cento e un premio di maggioranza contenuto, non superiore al 10 per cento. Una convergenza che mette in crisi la posizione del Pd, a dispetto di quanto ancora sabato scorso il segretario Bersani ha ribadito in occasione dell’assemblea nazionale, e cioè il rifiuto secco alle preferenze, foriere di brogli e voti di scambio. Il Pd resta per i collegi uninominali, ma a quanto pare rischia anche di rimanere da solo.
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