Grandi domande

Ma è proprio vero che oggi, in questo nostro tempo postsecolare, le "domande di fondo che fino a ieri risuonavano nelle aule accademiche o nei laboratori degli scienziati" siano sulle bocche di tutti, "quasi assillanti nel dibattito quotidiano?" Domande come "da dove vengo?", "dove vado?", "chi sono?", "perché vivo?", "perché soffro?", "che cosa è la morte?'', "che cosa c'è dopo la morte?", "chi alla fine mi assicura amandomi definitivamente?", sembrano esser ormai "l'espressione di un accanito conflitto di interpretazione", ecc... Ho (credo) fedelmente, se non letteralmente. trascritto espressioni che il cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, ha usato rispondendo al giornalista Benedetto Ippolito che lo intervistava sui temi affrontati nel suo ultimo libro. 'Buone ragioni perla vita in comune. Religione, politica ed economia" (Mondadori, 2010). L'intervista, apparsa sul Riformista del 29 settembre, è utile, vale la pena leggerla e magari conservarla, come diligentemente faccio io.
Questo però non significa condividere le tesi esposte dal cardinale. Personalmente, ritengo che le assillanti domande che ho sopra appuntato siano quelle che l'uomo si è posto dal primo momento in cui la scintilla dell'intelletto si è accesa in lui. E il socratico "conosci te stesso" è una risposta complessiva che vale per la maggior parte delle questioni in ballo. Non sono nemmeno domande peculiari della cultura occidentale, cristiana o no. Siddharta meditò a lungo sotto il fico sacro prima di divenire Gautama Buddha, l'Illuminato cui d'un tratto è balenata la risposta liberatrice delle inquietudini che gli poneva il dramma dell'esistenza. Secondo Karl Jaspers c'è un'epoca della storia del mondo - lui la definisce "epoca assiale"- nella quale, tra la Cina, l'India, la Palestina e la Grecia, nascono pensatori e figure carismatiche o religiose che in modi paralleli soddisfano a queste tematiche metafisiche, con una profondità mai prima riscontrata e in larga misura ancor oggi valida. Insomma, non si può accettare l'immagine di questo nostro tempo come segnato da una particolarmente drammatica (ed esclusiva) crisi del senso e delle sorti dell'uomo. Le ragioni di Scola Non mi sento in grado, né ho minimamente l'intenzione di discutere e tanto meno polemizzare con l'eminente cardinale. Del resto, penso anche io che il nostro tempo ponga domande assillanti, persino inquietanti, sul destino, il futuro dell'uomo.
Almeno però ci siamo liberati, da qualche decennio, di quella che per mezzo secolo e oltre fu la più ansiogena: "Quale potrà mai essere il futuro di un mondo su cui grava la minaccia della distruzione atomica ?": le angosce suscitate dal ricordo vivo e bruciante di Hiroshima e Nagasaki si sono dissolte. Ne restano certamente altre di cui il cardinale fa un elenco completo e accettabilissimo, alle quali però penso si possano dare risposte valide anche se non definitive (ma cosa vi può essere di definitivo nel destino dell'uomo?) chiamando in causa e assumendosi la responsabilità di porre in essere un agire, insomma una politica fondata su una progettualità adatta al mondo di oggi, così dilatato e globalizzato. Scola ha ragione quando ci sollecita alla ricerca "di una moralità comune basata sulla luce della percezione morale", in quanto "qualcosa accomuna gli uomini di qualsiasi razza, popolo e lingua".
Ma a me pare che il riconoscimento che "qualcosa accomuna" tutti gli uomini sia una conquista proprio del "postmoderno" che invece Scola denuncia come causa e fonte dei mali dell'umanità. Il "postmoderno" ha spezzato la catena culturale tradizionalista 1 identitaria che per secoli ha impedito all'uomo di riconoscere la radice fondamentalmente unitaria della propria semenza, per quanto dispersa e diversificata essa possa apparirgli. Giustamente, ancora, il cardinale Scola ricorda le "dichiarazioni dei diritti universali", nate tutte - se non vado errato - sulla scia di quella proclamata dalla Assemblea delle Nazioni Unite. Salvo poi denunciare che la loro universalità sia divenuta "astratta", non tenga conto, cioè, "di tradizioni come quelle orientali" che le denunciano come "di parte", inganno tramato dall'odiato occidente. Ma al posto dei grandi diritti universali (scaturiti anche dalla matrice cristiana) vorremo porre - che so - la lapidazione dell'adultera, l'infibulazione, il taglio della mano al ladro, il delitto "di onore" trasmigrato dalla Sicilia a certi nuclei di immigrati di provenienza mediorientale, gli odi etnici e tribali, la pena di morte comminata, qua e là, in forme quasi extragiudiziali? Nel drammatico tsunami del confronto tra costumi, civiltà, religioni anche diversissime tra loro, a me pare che tener ferma la barra sul diritto come è stato elaborato dalla cultura occidentale dello stato neutro e (ovviamente) laico - sia se non la soluzione perfetta almeno il miglior suggerimento da proporre all'uomo.
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