Il grande atteso è già conteso

Dalla Rassegna stampa

Luca di Montezemolo non ha fatto in tempo ad abbandonare la presidenza della Fiat, figuriamoci a scendere in campo, che già sembra destinato a condividere con Gianfranco Fini il passaggio sotto le medesime forche caudine: o con Berlusconi o contro Berlusconi. In effetti, se Montezemolo si deciderà al grande passo, non si scappa: è da questa scelta che dovrà passare. Per questo è già cominciato il tiro della giacca - «potrebbe svolgere un ruolo importante», dice il pidiellino Carlo Vizzini, «con lui il Pd potrebbe trovare convergenze», ribatte il piddino Enzo Bianco. E per la stessa ragione i bene informati assicurano che, non avendo intenzione di entrare in politica a dispetto del Cavaliere, e più probabilmente a dispetto di nessuno, il Grande Atteso della politica italiana resterà tale vita natural durante.
Certo è che la coincidenza di tempi tra il rinnovo della sfida finiana a Berlusconi e l’improvvisa disponibilità su piazza di Montezemolo ha subito rilanciato voci e scenari più o meno fantapolitici. Anche perché tra «Luca» e «Gianfranco» il feeling negli anni è cresciuto molto. È comune l’analisi sullo stato comatoso del bipolarismo italiano. Il presidente della Camera era in prima fila all’inaugurazione di Italia futura, il think tank montezemoliano nato un anno fa, ennesimo piccolo e prudente passo verso verso l’impegno politico diretto dell’ex presidente Fiat. Una presenza, quella di Fini, che il premier non gradì. Non è una mera coincidenza, poi, il fatto che sia da Italia futura che da Fare futuro, bastione culturale dell’ex leader di An, siano arrivati inviti espliciti a utilizzare l’arma dell’astensionismo alle scorse regionali. Una condivisione tattica che a molti è sembrata anche l’indizio di un comune piano strategico.
Montezemolo ha provveduto ieri a smentire le nuove suggestioni - del resto l’ha fatto sempre, e senza mai sortire l’effetto di zittire il gossip di Palazzo - ribadendo che non è sua intenzione buttarsi («Io in politica? Se rinascerò, in un’altra vita») e limitandosi a sottolineare che adesso, senza più cariche ingombranti sulle spalle, «sarò più libero di esprimermi». Una libertà di espressione che somiglia molto da vicino a quella invocata da Fini per esternare il suo «dissenso» da Berlusconi.
Non si può escludere che le due ritrovate libertà si diano man forte, perché su molti temi, a cominciare dalla partita delle riforme istituzionali, la voce di Montezemolo potrebbe aiutare il presidente della Camera a sentirsi meno solo di quel che è nel Pdl, dove ormai è minoranza non solo nel complesso del partito ma anche all’interno della componente di An, di cui pure era fino a un anno fa era ancora leader indiscusso. Ma, più che le smentite del diretto interessato, a consigliare prudenza sul futuro montezemoliano sono le sue stesse mosse. Quelle, per esempio, che gli hanno suggerito più di una volta di incontrare Berlusconi a palazzo Grazioli e - chissà se casualmente sempre nei momenti in cui più forti si facevano le voci sulla scesa in campo. Nonostante una certa tensione latente tra il presidente della Rosse e il presidente dei rossoneri, nonostante qualche battuta piazzata anche di recente dal Cavaliere a esorcizzare lo spettro di un nuovo possibile rivale («Di imprenditore in politica basto io»), i rapporti tra i due non sono mai scesi sotto una certa soglia. Berlusconi ha insomma i mezzi, gli argomenti e il rapporto personale per interferire, e persino indirizzare verso di sé, le eventuali scelte future di Montezemolo.
Il quale ha sì sempre cavalcato la questione della stanchezza per il teatrino della politica e per il rinnovamento anagrafico, di cui Berlusconi è bersaglio naturale, ma non si è mai sentito a suo agio nei panni dell’anti-Silvio. L’ex numero uno di Fiat ha sempre pensato per sé piuttosto il ruolo di salvatore della patria, di grande ufficiale della riserva chiamato con furore bipartisan a farsi carico del risanamento del paese in uno scenario tecnico-istituzionale, più che politico in senso stretto, e di sicuro non partitico. Il piano era quello di farsi largo trionfante tra le macerie della Seconda Repubblica, non nei pochi pertugi che Pd e Pdl, per non parlare della Lega al nord, lasciano ai fautori della Terza via. Un profilo super partes. Un posizionamento fuori dalla mischia. Ecco perché Montezemolo non ha faticato a riconoscersi nella definizione di «papa straniero», cioè di candidato alla premiership del Pd nel 2013, che gli ha cucito addosso un sondaggio dell’Espresso secondo il quale gli italiani lo considerano il più accreditato sfidante di Berlusconi. Un papa straniero che però finora ha dato segno di non avere alcuna intenzione di farsi eleggere in conclave da questa o quella fazione di cardinali, preferendo di gran lunga aspettare l’ipotesi non troppo probabile che un camerlengo gli recapiti a casa una lettera di assunzione a San Pietro.

© 2010 Il Riformista. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK