Il governo va sotto, l'opposizione esulta «Adesso dimissioni»

«Dimissioni! Dimissioni!». I banchi delle opposizioni (Pd, Idv, Terzo Polo) prorompono in un urlo liberatorio, quasi feroce, quando di fronte a un Silvio Berlusconi terreo in volto si materializza il disastro: l'Aula della Camera ha respinto l'articolo 1 del Ddl del rendiconto generale dello Stato. L'opposizione quasi non ci crede, al risultato del voto, anche perché di assenze nelle sue fila pure c'erano (una decina solo nel Pd, una ventina in tutto), e i conciliaboli tra big si sprecano: D'Alema e Veltroni parlano fitto fitto e chiedono lumi ai tecnici (Li Causi, Baretta), Fioroni e Franceschini paiono vecchi amici, solo Bersani se ne sta per conto suo. I veltroniani, però, che solo a metà pomeriggio dovevano subire gli sfottò dei bersaniani («Avete visto? Scajola è già andato a Canossa, non ci sarà nessun governassimo...»), al calar della sera gonfiano il petto: «Vedete? Il governo non regge più. La possibilità di un governo del Presidente è a tiro. Solo Walter (Veltroni, ndr.) c'aveva visto giusto».
Prima dei commenti politici, va però riportata la tattica di battaglia parlamentare ingaggiata dal Pd. Ieri, il segretario d'aula, l'ex radicale Roberto Giachetti, già ribattezzato dalle agenzie "generale Wellington", che a Waterloo nascose le truppe per prendere di sorpresa Napoleone, ha colpito duro: ha chiesto a tre deputati del Pd di nascondersi poco prima della votazione (in quella precedente, la Nota di variazione del bilancio, la maggioranza aveva passato l'esame dell'aula per un solo voto) e depistare i suoi omologhi segretari d'aula del Pdl per poi farli rientrare in aula al momento del voto.
Ora la parola dovrebbe passare alla politica, ma gli esperti di diritto costituzionale dell'opposizione (Zaccaria, Ceccanti, etc.) sostengono, codici alla mano, che Berlusconi dovrebbe salire al Colle e presentare a Napolitano le dimissioni del governo. «La bocciatura dell'art. 1 del Rendiconto impedisce qualsiasi altro voto», assicura il capogruppo, Dario Franceschini, «il governo si deve dimettere». Improponibile, per i democrat, la mossa della maggioranza, un ennesimo voto di fiducia perché «la sconfitta su un atto parlamentare fa cessare il rapporto di fiducia governo-Parlamento». Insomma, due righe di risoluzione generica non bastano.
In Transatlantico c'è Fioroni: ricorda la prima Repubblica («Andreotti, in un caso simile, salì al Colle e si dimise»), ma soprattutto, ribadisce il concetto base del ne bis in idem («Il Parlamento non si può pronunciare due volte sullo stesso provvedimento») e, da sindaco di Viterbo quale è stato, ammonisce: «In qualsiasi comune se ti bocciano il bilancio vai a casa senza tante storie». Intanto, il ddl intercettazioni finisce nel sottoscala per la gioia di un'opposizione che già si preparava alle barricate e ai voti segreti sui singoli articoli e emendamenti, il Pd convoca un'assemblea di gruppo per tirare le fila (e il fiato) della giornata. Franceschini ribadisce la linea, dimissioni subito del governo, il segretario Bersani esulta: «Hanno preso una bella scoppola, ora bisogna lasciarli cuocere nel loro brodo e stare sul pezzo». L'aria è distesa, il clima è euforico, ma i veltroniani di prima e seconda fila gonfiano il petto: Walter c'ha visto giusto, loro sono alla corda, ora tocca a noi. I bersaniani fanno spallucce: se il governo cade, cade, prima o poi succede, ma correr dietro al "compagno Scajola" è proprio assurdo. Vendola, da fuori il Parlamento, e Di Pietro da dentro invocano l'intervento del capo dello Stato, ma per andare a elezioni anticipate. Sarebbe la strategia di Bersani, anche, che crede poco a un governo "pateracchio": Il segretario non farà indietreggiare il Pd di fronte alle sue responsabilità. Quello che preme a Bersani, però, è non far risultare, all'opinione pubblica, l'immagine di un Pd diviso e rissoso, dove lo sport preferito è il tiro al segretario. Per questo apprezza la linea di Fioroni, che non ne chiede mai le dimissioni, resta guardingo sulle reali intenzioni di Veltroni e chiede anche ai suoi, di giovani, di farsi sentire, oltre ai Rottamatori: ne riunirà duemila del Sud, a Napoli, il 29 e 30 ottobre, per un corso di formazione alla politica. Gli stessi giorni della Leopolda di Renzi.
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