Il Governo al bivio tra Tremonti e Brunetta

Dalla Rassegna stampa

Il presidente del Consiglio ha un bel dire che la sua maggioranza è solida e il governo arriverà in carrozza alla normale scadenza della legislatura. Ormai non passa giorno, infatti, senza che nuove scosse sismiche aprano crepe sempre più profonde tanto negli equilibri politici quanto nelle strategie economiche del potere berlusconiano. Al punto che, ad aggravare le dure espressioni di dissenso che Gianfranco Fini manifesta con quotidiana regolarità, ora stanno venendo in piena luce contrasti non facilmente componibili all´interno stesso della compagine ministeriale.
L´attacco che il ministro Renato Brunetta ha lanciato ieri contro il collega Giulio Tremonti in una provocatoria intervista al «Corriere della Sera» non potrà essere archiviato come frutto di un´estemporanea impennata personale.
Il punto è che Brunetta mette sotto accusa l´impianto stesso della linea del ministro dell´Economia, ne sconfessa misure «di sicuro populismo» come Social Card o Robin Tax e gli rimprovera di esercitare coi suoi veti «un blocco cieco, cupo, conservatore, indistinto» frutto di un «egemonismo leonino, opaco, autoreferenziale» che definisce, con termine liquidatorio, una vera e propria «iattura». Il caso Tremonti, che soltanto poche settimane era stato dichiarato chiuso dallo stesso Berlusconi con asserita soddisfazione generale, risulta così clamorosamente riaperto nel bel mezzo di un dibattito parlamentare sulla Legge finanziaria dal percorso non scontato.
Al centro del conflitto c´è la decisione di Tremonti di tenere chiusi ad ogni richiesta dei colleghi i cordoni della borsa del Tesoro. Scelta che può essere agevolmente argomentata con lo stato critico dei conti pubblici, i quali segnalano un debito di nuovo in corsa verso il 120 per cento del Pil e un deficit balzato oltre quota 5 per cento. Il tutto, per giunta, in una fase di entrate fiscali calanti a causa della frenata potente del ciclo economico.
Cifre che da sole seppelliscono una volta per tutte la favola tremontiana della «messa in sicurezza» dei conti pubblici medesimi. E, al tempo stesso, certificano il fallimento della strategia fin qui seguita dal governo di non far nulla di serio per contrastare gli effetti della crisi sul ciclo economico aspettando che la tempesta passi da sola. L´attendismo di Tremonti, insomma, non ha salvato i conti e non ha neppure alleggerito l´impatto della recessione sul sistema produttivo, tanto meno ancora sull´occupazione e sul livello dei consumi.
Par di capire che ora la richiesta di Brunetta sia quella di uscire dalla trappola in cui il collega dell´Economia ha condotto l´intero governo puntando su una manovra aperta a misure di sostegno vuoi dei redditi vuoi delle attività economiche, con risorse da trovare attraverso un riassetto riformatore della spesa pubblica. Proposito in linea di principio assai lodevole, ma che appare anche reticente sulle cause di questa situazione. Per reclamare una svolta credibile rispetto alla linea tremontiana non basta dire che da oggi si cambia: occorre innanzi tutto riconoscere il peso degli errori fin qui compiuti. In particolare, che i tagli di spesa pubblica tanto vantati in funzione della messa in sicurezza dei conti pubblici non hanno impedito, per esempio, che nell´ultimo anno il debito pubblico sia salito di circa 140 nuovi miliardi: non attribuibili, quindi, all´eredità di un passato lassista, come ama giustificarsi Silvio Berlusconi, ma tutti dovuti alla severa gestione dell´attuale governo.
Occorre cominciare con il riconoscere questa drammatica realtà soprattutto per non tornare a spesare auspicabili nuovi investimenti con improbabili coperture di tagli cosiddetti lineari alle uscite (un tot per cento in meno per ogni dicastero) che già in via contabile si rivelano sistematicamente insufficienti.
Mentre, in via pratica, producano magari l´effetto di lasciare a secco di benzina perfino le volanti della Polizia. Dice bene, insomma, Brunetta quando parla di «passare dal rigore conservatore al rigore selettivo». Ma i suoi propositi al riguardo suonano altrettanto «indistinti» dei veti tremontiani. Cosicché queste polemiche senza sbocchi dentro il governo tengono il paese prigioniero fra l´incudine di chi si è chiuso in una tardiva scoperta del rigore e il martello di chi dice di voler forgiare un avvenire dai contorni comunque indefiniti. Palazzo Chigi ha fatto sapere che Berlusconi sta dalla parte dell´incudine di Tremonti perché si sa che il sostegno di Umberto Bossi al ministro lega le mani al premier. Una scelta di campo che non chiuderà la partita perché equivale all´ammissione che questa maggioranza è tutto fuorché solida.

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